Perigliosa avventura di un uomo di marmo di Giovanni Guareschi – proprio lui, l’autore di Don Camillo – usci sulla rivista satirica “Bazar” nel 1934 (1). Si tratta di una sequenza di quindici vignette spiegate da altrettante strofe in versi con rima. Al centro della storiella c’è la statua dedicata a Correggio eseguita da Agostino Ferrarini (1828-1898) nel 1870, in piazza Garibaldi a Parma.
Il tema dei monumenti, quelli equestri in particolare, ricorre altre volte nella grafica di Guareschi degli anni Trenta (2), ma qui prende una piega del tutto speciale, perché ci si immagina che la statua del pittore si animi, faccia un giro per le strade di Parma e poi ritorni sul suo piedistallo in piazza.
Il motivo della statua che prende vita e si muove è antichissimo; lo troviamo ad esempio nel dialogo L’amante della menzogna di Luciano di Samosata (II sec. d. C.), ma arriva fino all’Ottocento con Das Marmorbild di Joseph von Eichendorff (1819) e con la Venus d’Ille di Prosper Mérimée (1837) e addirittura al cinema, con Il fauno di Febo Mari (1917).
In Guareschi il tono dell'”avventura stramba” è decisamente umoristico: il Correggio, perseguitato dai piccioni, scende dal basamento, ascolta quanto gli dice la statua di Garibaldi, va a cercare un amico (Parmigianino), poi all’ex monastero di San Paolo, nel momento in cui escono le studentesse delle scuole magistrali che in quel periodo occupavano il complesso; viene investito da un automobile, acquista una stampella in un grande magazzino, ma ne viene cacciato, passa davanti a un negozio di improbabili quadri antichi, fugge davanti una serie di uomini-sandwich, e infine stanco delle esperienze negative ritorna sul piedistallo marmoreo.

Un giorno il buon Correggio sentì ch’era il momento
di piantarla un pochino, di fare il monumento.
Così pensò “Svegliamoci un po’ dal sonno eterno,
e a far due passi andiamone pria che venga l’inverno!”.
E una scaletta prèsasi, scende dal piedestallo
e quando arriva a terra, dice: “Sono a cavallo!”.
Ma qui, lettore amabile, tu vedi, sorte dura,
che del signor Antonio comincia la sventura.
I piccioni, quei sudici, lo seguon da vicino
e sì l’infastidiscono che grida il buon Peppino:
“Ti vuoi levar l’incomodo? Mettili qua in pensione;
non c’è mai neanche un gatto: ci staranno benone…”.
Ma i piccioni non mollano: chi li può persuadere?
Son tipi che, le cose, dall’alto fan cadere.
E il buon Correggio sèccasi, tanto più, se non sbaglio,
che gli sovvien d’un conto scoperto con Dall’Aglio:
per certo bianco zinco che, a credito rammenta,
il Dall’Aglio vendettegli nel ‘530…
S’inoltra a passi ràpidi per Via Cavour, Correggio,
e tutto lieto gòdesi il parmense passeggio:
quando ad un tratto, guàrdalo, ecco che si rattrista;
anche a questa signora deve saldar la lista!
Nel ‘507, o destino rubello
la C…a, a sua moglie confezionò un cappello!
In sesto per rimettersi un poco, il buon Correggio,
ratto in un caffè infilasi, ma va di male in peggio.
Mentre nessuno dargli può udienza in quel momento,
sorbir deve un orribile pozion di 900,
infatti il fato tragico l’ha spinto da Tonino
là dove, giorno e notte, tiene banco Pietrino…
Inver sgomentatissimo il buon Correggio corre
di S. Paolo a… nascondersi un po’ dietro la torre.
Quand’ecco “Eurèka alfine – grida lieto Tonino –
ho trovato un amico; qui sta il Parmigianino!”.
“Dove abita il pittore – chiede – saprebbe lei?
E il vigile sicuro: “Borgo Montassù sei!”.
A prendere sul serio i nostri pizzardoni
dalla padella rischiasi di cader sui carboni.
Tant’è ver che il Correggio, del proprio fatto certo,
invece di Mazzola, trova Carboni Erberto:
la vignetta qui spiègati, or bene le ragioni
che urlar l’Allegri fanno “Aiuto, Roncoroni!”…
Per ristorarsi l’animo, or decide di andare,
le stanze di S. Paolo (roba sua) a visitare.
Ma gli sbarran la strada, vezzose e chiacchierine
centomila fanciulle: son le magistraline.
Ed il Correggio fèrmasi: “Entrar non mi conviene
ohimè: dei putti miei son dipinte più bene! …”.
Triste ed umiliatissimo, scantona il buon pittore
ma in strada Garibaldi trova maggior dolore.
C’è infatti una signora, in preda a gran furor,
che fa un baccan che copre il rombo dei motor.
Cosi il Correggio, misero, con il timpano rotto,
non sente un autocarro e ci finisce sotto…
Ed il nuovo episodio dell’avventura stramba
vede il povero diavolo fracassarsi una gamba.
All’Upim va, il Correggio, a comprar ‘na stampella.
La trova: ma quand’esce, ha la faccia men bella
infatti le commesse lo credon, poveretto,
il caricaturista di qualche giornaletto…
L’animo esacerbatosi, e pieno il cuor di fiele,
per Strada, egli incamminasi, Vittorio Emanuele:
ma, come vedi, un fulmine lo coglie a ciel sereno
davanti ad un negozio di quadri rari pieno:
“Cielo – urla forsennato – ancor nuovo dileggio?!…
Le ceneri neppure, rispettan del Correggio?!…”.
Prosegue ancor più triste, ma una disgrazia nuova
il cuore suo marmoreo or mette a dura prova:
stranissime persone, visiòn terrificante,
vede a un tratto avanzarsi guidate da un gigante.
E per fuggir rattissimo mentre si dà dattorno,
“Quelli son pazzi – ei grida – fuggiti da Colorno! …”.
Per Via XXII Luglio, arriva allo Stradone
ma qui, nuova e terribile, l’attende una emozione.
I saggi architettonici di stile ‘900
son così funambolici che gli metton spavento.
“Sfuggo ai pazzi – egli dice – e il barbaro demonio
mi fa capitar, proprio, dentro nel manicomio! …”.
Di tutto disgustato, esce dalla città
pensando che il suburbio dargli pace potrà.
Ma lo fa capitare, l’occulto maleficio,
nei campi di battaglia dello Zuccherificio
e benché, sia di marmo, drizzarsi, il tapinello,
dall’emozione sentesi i peli del pennello…
Fuggir, fuggir bisogna: questa vita è un tormento!
meglio tornar sul pulpito a fare il monumento!
È notte, ormai, la luna dolce sorride in cielo
vestita di un mirabile di stelle argenteo velo…
Lieve un sospir sol odesi venire di lassù:
è il Correggio che mormora: “No, non mi becchi più”.


Guareschi coglie l’occasione per citare personaggi ben noti nella Parma degli anni Trenta, a volte con allusioni, a volte indicandone il nome (tra questi il grafico e pittore Erberto Carboni). Ma la storiella è particolarmente interessante perché in due casi fa emergere la posizione conservatrice di Guareschi in ambito culturale. Il primo caso è proprio quello della vignetta in cui si cita Erberto Carboni: è un suo nudo femminile dal linguaggio vagamente espressionista o cubista che fa letteralmente inorridire il pittore rinascimentale. Poi c’è la tredicesima vignetta, in cui il Correggio si imbatte in alcune architetture di stampo razionalista (“i saggi architettonici di stile ‘900”), che senza tante discussioni vengono liquidate come cose da “pazzi” e da “manicomio”.
- Casamatti, G. Conti (edd.), Giovannino Guareschi, nascita di un umorista. “Bazar” e la satira a Parma dal 1908 al 1937 (catalogo della mostra, Parma, 2008), Parma 2008, pp. 146-149.
- Casamatti (ed.), Giovannino Guareschi. L’opera grafica 1925-1968, Milano 2008, pp. 137-139.
Claudio Franzoni