Copie delle opere del Correggio

Copia del Matrimonio mistico di santa Caterina
Copie in miniatura della cosiddetta Antiope (1633) e dell’Educazione di Amore (1634)

Copia dell’Ecce Homo di Correggio

Matrimonio mistico di santa Caterina

Copia dell’Orazione nell’Orto di Correggio

Copia della Madonna di san Girolamo di Correggio

Una copista davanti all’Antiope di Correggio
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Quando leggiamo la parola “copia”, pensiamo immediatamente a qualcosa di secondario, di derivato, e quindi di infimo valore. Pensiamo, insomma, che la distanza tra l’originale e la copia sia incolmabile. Ma forse ci sbagliamo. Nella storia della cultura occidentale, infatti, è facile constatare come il rapporto con le copie delle opere d’arte sia stato in passato ben diverso dal nostro.
Nel I secolo dopo Cristo, nella sua Storia naturale (35, 125) Plinio il Vecchio ci lascia questa singolare testimonianza: “Una copia (exemplar) di questo quadro [La venditrice di ghirlande del pittore Pausia] – si usa il termine apographon – venne comprata da Lucio Lucullo per due talenti”. Lucullo non era un personaggio qualsiasi, ma un uomo che aveva avuto un ruolo di grande rilievo nella vita politica della Roma del I sec. avanti Cristo: egli riteneva dunque che valesse la pena spendere molti soldi per la copia di un quadro celebre a quel tempo.
Rimaniamo nel mondo romano: quante volte nei musei di tutto il mondo leggiamo, accanto a una statua in marmo, la didascalia “Copia romana di un originale greco”? Dal II secolo a. C., da quando cioè Roma divenne padrona del Mediterraneo, arrivarono nella capitale centinaia e centinaia di statue in bronzo strappate a santuari e città greche. Ben presto le opere celebri – ad esempio il Discobolo di Mirone o il Doriforo di Policleto – vennero replicate per opera di artigiani specializzati: le copie andavano così ad abbellire ville e giardini di aristocratici, dimore di collezionisti.
La scultura antica fu di nuovo oggetto di straordinaria ammirazione in età rinascimentale: di opere come il Laocoonte – scoperto a Roma nel 1506 – si fecero per secoli riproduzioni in diversi materiali e in diverse dimensioni. Capitava così che un bronzetto di pochi centimetri entrasse in una collezione principesca proprio perché riproponeva, per quanto in formato ridotto, le forme di un celebrato capolavoro: il Laocoonte appunto, ma anche l’Apollo del Belvedere, la Venere dei Medici, il Torso del Belvedere etc.
Lo stesso accadde, dal Rinascimento in poi, anche per i quadri degli artisti più ammirati. Un quadro celebre – la Notte di Correggio, ad esempio – veniva riprodotto tramite incisioni che potevano essere stampate in un buon numero di copie. Un saggio curato da Massimo Mussini (Correggio tradotto, 1995) ha messo in luce varietà e numero degli artisti che dal ‘500 in poi tentarono di rendere su carta le opere del maestro emiliano.
Mentre da un lato gli incisori riproponevano riproduzioni ora più ora meno fedeli delle sue opere più apprezzate, dall’altro alcuni pittori eseguivano copie su tavola o su tela. Osservare il numero e la diffusione di queste copie è un mezzo efficacissimo per cogliere le correnti del gusto che hanno riguardato Correggio: è chiaro che le sue opere più ammirate erano quelle che di cui si richiedevano e acquistavano più copie.
Un esempio straordinario dell’apprezzamento delle copie viene dalla collezione di Carlo I. Nella prima metà del Seicento, il sovrano inglese possedeva una copia del Matrimonio mistico di santa Caterina; questa copia venne ceduta agli inizi dell’Ottocento, ma nelle collezioni reali inglesi se ne conserva ancora una copia: prova di come le copie possano generare a loro volta altre copie. Ma, cosa ancora più singolare, negli appartamenti del re si trovavano persino copie di quadri di Correggio di sua proprietà: il pittore inglese Peter Oliver, nel 1634, aveva eseguito infatti riproduzioni della Venere e Cupido sorpresi da un satiro (la cosidetta Antiope) e della Venere con Mercurio e Cupido (la cosidetta Educazione di Amore).
Alla fine dello stesso secolo, in Francia, Luigi XIV possedeva opere di Correggio; nonostante questo gli venne donata una copia in piccolo della Madonna di san Girolamo di Nicodème Tessin le Jeune.
Le situazioni sono quanto mai varie. Ci sono, ad esempio, copie estremamente preziose poiché nel frattempo abbiamo perduto l’originale: prima di tutto la Madonna di Albinea, poi il complesso del Trittico di Santa Maria Misericordia a Correggio, infine la Maddalena leggente già a Dresda, di cui abbiamo un numero consistente di repliche.
C’è poi il caso delle copie di sostituzione, in particolare quelle eseguite dal pittore Jean Boulanger, quando capolavori di Antonio Allegri come il Riposo durante la Fuga in Egitto già a Correggio o la Notte di Reggio Emilia vennero incamerati nelle collezioni dei duchi d’Este a Modena.
Nel corso dei secoli non furono pochi i grandi pittori che fecero copie da quadri di Antonio Allegri. Uno dei primi fu Girolamo da Carpi (1501-1556), che come riferisce Giorgio Vasari nell’edizione Giuntina del 1568, ritrasse il Noli me tangere che si trovava allora a Bologna e il Matrimonio mistico di santa Caterina, allora a Modena.
Lelio Orsi (c. 1511-1587), come propose Carlo Volpe, è invece l’autore di una copia del Martirio dei quattro santi, già nella cappella Del Bono in San Giovanni Evangelista a Parma. Lodovico Cardi detto il Cigoli (1559-1613) eseguì a sua volta una copia del Matrimonio mistico di santa Caterina, uno dei quadri più amati e quindi più riprodotti del Correggio.
A Milano, Fede Galizia (1578-1630) eseguì più copie da Correggio; nel suo testamento cita una “Zingarina che viene dal Chorez” (una copia della Zingarella oggi a Napoli) e un “Christo nell’Horto del Chorez” (cioè una copia dell’Orazione nell’Orto oggi in Gran Bretagna). Oltre a quella dell’Arcivescovado, al Castello Sforzesco di Milano si trova un’altra copia di quest’ultimo dipinto eseguita dalla pittrice.
Fede Galizia aveva dipinto un’altra copia della Zingarella, apprezzata al punto da entrare in una delle più importanti collezioni milanesi del Seicento, quella di Manfredo Settala; nel catalogo di questo museo pubblicato nel 1666, viene descritta così: “La Vergine vestita all’Egittiana detta la Cingarina [piccola zingara] del Correggio, imitata ed accresciuta con lodevole invenzione da Fede Gallitia”. Come si vede, agli occhi di un collezionista del tempo il pittore-copista poteva addirittura migliorare l’opera di un maestro antico.
Nel secolo successivo, i grandi artisti continuano a studiare e riprodurre le opere di Correggio. Lo fa anche un grande ritrattista come Pompeo Batoni (1708-1787), che lascia una replica in formato ridotto della Madonna di san Girolamo, copia che appartenne a Charles Jennens, l’autore del libretto del Messiah di Georg Friedrich Händel. Del resto quest’ultimo dipinto e la Notte furono enormemente ammirati tra Settecento e Ottocento, e per questo oggetto di innumerevoli copie, in Italia e in tutta Europa.
Nel corso del XIX secolo dovevano essere normali scene come quelle ritratte da Louis Béroud, cioè pittori al lavoro davanti ai grandi capolavori nei musei europei; uno dei suoi quadri ritrae proprio una ragazza che sta copiando l’Antiope di Correggio al Louvre.
Claudio Franzoni