Berlin, Staatliche Museen Preussischer Kulturbesitz, Gemäldegalerie:

Leda e il cigno

Ca. 1531-1534, olio su tela, 152 x 191.

La prima attestazione dell’opera, per quanto in modo inesatto e impreciso, si trova nelle Vite di Giorgio Vasari: “e fra l’altre cose sue, due quadri in Mantova al duca Federigo II per mandare a lo imperatore: cosa veramente degna di tanto principe; le quali opere vedendo Giulio Romano, disse non aver mai veduto colorito nessuno ch’aggiugnesse a quel segno. L’uno era una Leda ignuda, e l’altro una Venere [in realtà Danae], sì di morbidezza, colorito e d’ombre di carne lavorate, che non parevano colori ma carni. Era in una un paese mirabile: né mai lombardo fu che meglio facesse queste cose di lui; et oltra di ciò capegli [capelli] sì leggiadri di colore e con finita pulitezza sfilati e condotti, che meglio di quegli non si può vedere. Eranvi alcuni Amori che de le saette facevano prova su una pietra, quelle d’oro e di piombo, lavorati con bello artificio; e quel che più grazia donava alla Venere, era una acqua chiarissima e limpida che correva fra alcuni sassi e bagnava i piedi di quella, e quasi nessuno ne ocupava: onde nello scorgere quella candidezza con quella dilicatezza, faceva agl’occhi compassione nel vedere”.

Nonostante Vasari parli solamente di due opere commissionate da Federico Gonzaga, è probabile che la serie comprendesse oltre alla Leda e alla Danae, anche la  e il Ganimede.

Secondo il mito classico – noto attraverso varie versioni – Giove ama Leda dopo essersi trasformato in un cigno. Sulla sinistra, un Amore suona una sorta di cetra, mentre alcuni amorini suonano dei piccoli strumenti a fiato.