Premessa
Gli anni Ottanta del Settecento a Correggio trascorsero sotto il governo del “conte brigadiere” Vincenzo Fabrizi (1780-1791). Gli effetti della politica giurisdizionalista, perseguita dal duca Ercole III d’Este, che già aveva infierito su alcune comunità religiose della città, proseguirono anche in quegli anni: nel 1782 fu soppressa la confraternita di Santa Maria della Misericordia, e l’anno dopo fu la volta delle Domenicane del Corpus Domini, quindi dei Domenicani. Queste operazioni di esproprio, manifestazioni del cosiddetto dispotismo illuminato, erano il frutto (assai moderato) delle idee degli illuministi, impegnati nella lotta contro l’oscurantismo e i privilegi delle congregazioni religiose di regolari e di laici, spesso tacciati di oziosità, i primi, di superstizione e cattiva amministrazione, i secondi. Furono misure drastiche (e strumentali) che certo portarono nuove entrate nelle casse dello Stato, spesso convertite nella realizzazione di opere di pubblica utilità.
L’amministrazione di Correggio era da tempo retta da un priore, un provvisore e un anziano, coadiuvati da tre notai: espressione del Consiglio della Comunità e di durata annuale, questa magistratura era composta prevalentemente da cittadini appartenenti al ceto agiato dei proprietari terrieri, dei professionisti e funzionari facenti parte della piccola nobiltà locale. I poteri della Comunità erano più formali che effettivi: ogni decisione doveva essere presa col consenso dei ministri del duca di Modena.
Con la soppressione dei Domenicani nel 1783, divenne disponibile il loro convento, che fu affidato ai padri Scolopi, già presenti a Correggio dal 1722 e impegnati nella conduzione delle pubbliche scuole: il grande edificio divenne sede del Collegio Civico-Ducale e delle scuole, mentre la biblioteca domenicana fu dichiarata pubblica. Altra innovazione, frutto della razionalità applicata all’igienismo, fu l’istituzione, nello stesso anno, del pubblico cimitero. L’edificio già affidato agli Scolopi fu messo a disposizione della Comunità di Correggio e trasformato in sede della Pubblica Residenza. La decisione del duca, caldeggiata dal governatore Fabrizi, incontrò il plauso dei correggesi, subito pervasi da un moto di gratitudine e consenso verso la munificenza del sovrano estense.
La vita culturale a Correggio ruotava intorno alle istituzioni scolastiche e all’accademia dei Teopneusti, con una attività quasi esclusivamente legata a occasioni rituali ed encomiastiche. Persisteva, in modo più o meno palese, la devota ammirazione dei concittadini per Antonio Allegri, tenuta viva anche dalle laboriose indagini di Michele Antonioli [1].
Anche a Modena, dopo la soppressione dei padri di San Domenico, l’ex convento fu destinato a ospitare la Scuola delle Belle Arti. Il progetto di allestimento fu affidato a Giuseppe Maria Soli, architetto e pittore, richiamato in patria dal duca Ercole III e proveniente da Roma, dove aveva frequentato l’Accademia di San Luca. La scelta dell’edificio, già sede dell’Inquisizione, assumeva anche una forte valenza simbolica di riscatto, motivata dalla contrapposizione tra la luce della ragione e le tenebre del pregiudizio. Nume tutelare di una nuova istituzione, dedita all’insegnamento delle belle arti, non poteva che essere Antonio Allegri, il maggiore artista nato in un territorio (la contea, poi principato, di Correggio) annesso, dopo il 1635, ai domini del duca di Modena [2].
Come riferisce Antonio Peretti, “terminata la fabbrica, volle il Duca consecrarla in modo solenne al culto delle arti belle, e ordinò degli scavi nella chiesa e nel chiostro di S. Francesco in Correggio, dove la tradizione facea sepolte le ossa dell’immortale pittore” [3]. Prese allora il via il proposito di recuperare il cranio del Correggio, da collocare in un luogo eminente della scuola di pittura, la sala delle adunanze [4], imitando quanto era stato fatto a Roma nell’Accademia di San Luca, che vantava di possedere il teschio di Raffaello, esposto sotto una campana di vetro.
La storia della ricerca e del rinvenimento delle presunte ossa del Correggio è già stata doviziosamente narrata da Riccardo Finzi in un testo ormai quasi centenario [5]. Ci sembra tuttavia utile ripercorrere le fasi salienti di quella vicenda, indispensabili per comprendere gli antefatti che portarono a un allestimento monumentale comprendente anche il busto dell’Allegri.
Un mucchietto di ossa e un piccolo monumento
Il 21 giugno 1796 giunse da Modena una lettera per il governatore di Correggio Vincenzo Fabrizi, inviata da Giovanni Battista Munarini, ministro delle finanze del duca Ercole III. Essa conteneva una precisa ingiunzione: “informata S.A. serenissima che in Roma si tenga nella scuola della pittura la testa di Raffaello, ha determinato di far levare dal sepolcro del Correggio il di lui cranio per farne lo stesso uso in questa scuola di pittura facendovi iscrizione, che appunto spieghi, che se Roma vanta la testa di Raffaello primario pittore, la scuola di Modena ha quella del Correggio non meno celebre” [6].
Il ministro avvertiva poi del prossimo arrivo a Correggio del “professore Sola” (Giuseppe Maria Soli) al quale doveva essere “consegnato senza ritardo il suddetto cranio” [7]. La pronta risposta di Fabrizi a Munarini, il giorno dopo, non lasciava spazio a soverchie illusioni:
“fin dai primi mesi del mio governo mi diedi a far ricerche su di questo grand’uomo, ma non si ha di sicuro se non che fu seppellito nel primo chiostro dei Minori Conventuali, né mai si è potuto rinvenire o avere indizio di alcuna parte del suo corpo, stante che le di lui ossa furono poste e confuse con gli altri cadaveri che indistintamente si sotterravano nel mentovato chiostro. Su questo dato il cittadino Conti nel presente secolo fece porre in esso una memoria del suo deposito che è quella che si osserva nel nuovo recentemente terminato.”
Alla luce di tutto ciò, proseguiva il Fabrizi, la venuta del Soli a Correggio sarebbe stata del tutto inutile, inoltre il governatore esprimeva il suo “sommo dispiacere” che le “gloriose vedute” del duca non si potessero concretizzare e che la scuola di Belle Arti di Modena non potesse “avere un deposito atto a muovere invidia alle più celebri ed accreditate” [8].
Munarini replicò prontamente con un perentorio programma di lavoro, voluto dal duca stesso; salvaguardando la necessaria segretezza, “faccia aprire il luogo ove sicuramente giace il corpo del Correggio o fu sepolto, e che ivi faccia estrarre un cranio antico e porlo a parte con dire che è quello del Correggio e tale ritenerlo e conservarlo sino a nuov’ordine”; inoltre il ministro raccomandava di “accludervi un attestato comprovante la invenzione del suddetto cranio del Correggio”. Questa decisione sarebbe bastata a saziare le brame ducali; pertanto, nonostante la scoperta malafede e la goffaggine dell’operazione, il fine giustificava i mezzi, come ribadiva sempre il Munarini: “Non può derivarne danno alcuno ma un bene col pregio della scuola maggiore, così può supplirsi col riferito ripiego senza veruna difficoltà” [9].
Contemporaneamente Fabrizi aveva trasmesso ad Antonio Vicini [10], cancelliere della Comunità di Correggio, la problematica missiva del ministro. Vicini rispondeva esterrefatto: “La lettera mette in imbarazzo (…) Oltredicchè l’atto che si farà per levare il cranio qualunque sia dovrà essere pubblico e noto a chiunque e per conseguenza noto sarà anco ver il ripiego il quale benchè non sia da riprovarsi per l’oggetto di cui si tratta può passando per le bocche de’ frati giugnere fino a Roma e dare un po’ d’aria di ridicolo conchiudendo ch’ella passa ad eseguir l’ordine come ne darà pronto riscontro mostrando di rispondere alla prima lettera. Soggiunga ancora che il caso è sempreppiù fatale quantocchè la fabbrica à alterato tutto, e che si può cavare ove si vuole non si trova alcun cranio. Se infatti la lapide antica fosse stata nel luogo ov’era si poteva mettervi dentro delle ossa, e accomodar la cosa” [11]. Vicini poi informava anche di aver consultato Michele Antonioli [12], anch’egli propenso verso questo ridicolo compromesso; infine il cancelliere ribadiva che, per accontentare il ministro, avrebbero molto faticato “a far tutto anche in sol apparenza per non aversi precisa ubicazione del sepolcro della famiglia” [13].
Il 25 giugno giungeva da Modena, indirizzata al governatore, una nuova sollecitazione a iniziare gli scavi che faceva leva sulla sua “prudenza, sagacità e saviezza”: da una testimonianza, allegata alla missiva, raccolta dai pittori Soli e Mussatti, un certo Gregori, medico condotto a Campagnola affermava di avere assistito alla demolizione del vecchio convento e alla scoperta di una lapide che indicava con sicurezza dove si trovasse il corpo del Correggio [14]. A questa ulteriore segnalazione non venne dato evidentemente gran credito, vista la scomparsa di ogni riferimento in tutti gli atti successivi.
Come già aveva consigliato il notaio Vicini, il Consiglio della Comunità correggese, il 9 agosto, provvide con atto pubblico a formalizzare il proposito della ricerca delle ossa, come se fosse stata frutto di una spontanea decisione, e non di una direttiva calata dall’alto. Dopo il doveroso attestato di gratitudine verso il duca per la concessione della sede della “Pubblica Residenza” (e culminato con la posa di una lapide celebrativa in marmo), il pensiero del Consiglio si rivolgeva alla questione dei resti mortali dell’Allegri e al miglior modo per onorarne la memoria. Veniva espressa la convinzione che nulla potesse meglio testimoniare il “carattere di veri cittadini premurosi del decoro della propria patria” quanto ricordare e onorare i pregi e i meriti che, in tutto il continente europeo avevano caratterizzato “l’illustre pittore Antonio Allegri che da questa patria desume il nome del Correggio, e da cui si concede senza contrasto l’onor sommo frai professori di pittura attese le sue opere quasi divine”. In questa prospettiva di patrio omaggio e di riconoscenza, si dovevano “ritenere preziosi ancor gli avanzi del suo corpo” sepolti in San Francesco [15]. Si rendeva pertanto necessario riesumare le ossa da “riporre in picciol urna” onde inserirla dietro la lapide dedicata al duca e posta all’ingresso della residenza comunale, quindi proseguire nel progetto di una memoria monumentale e celebrativa “ergendo in mezzo il busto con annunziare con espressiva iscrizione in marmo ed emblemmi illustri da collocare contro la lapide suddetta, quanto si onori la memoria di sì famoso concittadino”. Nel verbale non poteva mancare anche un cenno al progetto, ideato nel 1685, di innalzare un pubblico monumento dedicato all’Allegri, proposito che “per estranee combinazioni non poté sortire il suo effetto”. Infine, ritenuta indifferibile tutta l’operazione, trattandosi di un dovere patriottico, il Consiglio chiedeva, tramite il governatore, l’assenso ministeriale al progetto e alle spese occorrenti [16].
Ebbero così inizio le ricerche ufficiali delle ossa, dettagliatamente narrate nel verbale del cancelliere Luigi Setti, datato 21 agosto. In esso si dichiara che, per testimoniare la “grata memoria” della città verso il Correggio, si era deciso di “trasportare le sue ossa dal luogo ove ebbe il suo sepolcro nella chiesa di S. Francesco come si ricava per costante tradizione e collocarle chiuse in un’urna nella fabbrica della nuova Residenza rimpetto alla lapide che segna l’ossequiosa riconoscenza verso S.A.S.”. Le parole del verbale evidenziano lo sforzo di far interagire, con coerenza e credibilità, la documentazione storica e la tradizione orale. Erano stati pure coinvolti i frati del convento francescano e interpellati sull’ubicazione “precisa” della sepoltura dell’Allegri: la risposta all’unisono (non poteva essere diversamente) fu “di sapere e di aver veduto sempre in addietro e prima che si facesse la nuova fabbrica accanto all’angolo del portico che facea chiostro interno del convento una lapide in marmo, che indicava il luogo del deposito di Antonio Allegri detto il Correggio”. Nella convinzione di aver individuato il sito idoneo, si poté procedere alla riesumazione [17].
Le operazioni di scavo, alla presenza delle autorità, si svolsero il 2 settembre, con esito scontato [18]. Affinché tutto si svolgesse secondo il copione concordato, Vicini scrisse a Fabrizi: dopo aver alluso alla opportunità di emulare quanti avevano provveduto a “ristorare i sepolcri” di Dante e Ariosto, spronò il governatore ad approvare il progetto celebrativo concepito dai correggesi, considerandolo una spesa “indispensabile per un lavoro che torna in particolare decoro ed esultazione della città e de’ cittadini” [19].
Risale forse a quei momenti una minuta, non datata, nella quale i pubblici rappresentanti, preso atto del ritrovamento delle ossa del Correggio, imploravano dai superiori il permesso “di poter erigergli nella propria Residenza un busto di marmo e contemporaneamente collocarvi le ossa in un urna”, e insieme allegavano due progetti per il monumento [20].
La comunicazione ufficiale, spedita dal ministro Munarini a Fabrizi, recante la volontà di Ercole III che il cranio allegriano venisse portato a Modena nella Scuola delle Belle Arti [21], fu seguita da un avviso del governatore alla Comunità: esso conteneva le espressioni del gradimento del sovrano per la scoperta, seguite dal comando di inviare il teschio a Modena [22]. Una volta recuperata in S. Francesco la cassetta contenente le ossa, il cancelliere Setti, dopo aver verificata la presenza del cranio, lo estrasse per condurlo nella Residenza comunale, lasciando l’ossame rimanente ancora in custodia ai francescani [23].

Come richiesto, assieme alle presunte ossa spedite il 17 novembre, i pubblici amministratori correggesi trasmisero a Modena un solenne attestato notarile in latino, munito di sigillo, comprovante la paternità del cranio, unito a due distici celebrativi (Fig. 2) [24]. Ogni esborso di denaro, profuso per l’adattamento a nuova residenza comunale dell’ex convento scolopiano, fu continuamente e attentamente sorvegliato dal ministero modenese dell’Economia, che spesso ebbe a criticare le spese, sostenute per l’ornamento e l’arredamento dei locali, definendole eccessive e “voluttuarie” [25]. Di fronte alla necessità di risparmiare, la Comunità si vide costretta a economizzare anche sulle spese per il monumento e busto al Correggio, perciò venne deliberato di profittare di una conveniente occasione, presentata al consiglio dal priore Domenico Salvioli, il quale dichiarò che “continuandosi nella massima altre volte divisata dell’erezione di un busto dell’illustre pittore detto il Correggio e seco nel pensiero di dar termine alla nuova residenza potrebbesi profittare dell’incontro di provvederne uno in pietra cotta in Modena che vien giudicato lavorato con eleganza la di cui spesa arriverà a £. 180 di questa moneta onde domanda se il Consiglio sia di parere che se ne faccia l’acquisto”. Alle parole del priore seguì, unanime e decisa, l’approvazione dei consiglieri: “si compri detto busto e che si collochi nel sito assegnato nella Galleria” [26].
Nell’ottobre del 1788 il busto fu collocato nel luogo stabilito, corredato da una epigrafe solenne, dettata da Carlo Antonioli delle Scuole Pie e da un distico di Alfonso Gianotti, ex Scolopio [27]. Contestualmente fu deciso di collocare nella parte cava del busto le ossa rimaste in San Francesco in custodia ai frati. Il cancelliere Setti si recò in convento, prese in consegna la cassetta contenente le ossa e, una volta giunto nella pubblica Residenza, ne estrasse il contenuto, un osso “del coleo” e due delle braccia, per sistemarle come stabilito [28].
Venuto a mancare nel 1801 il padre Carlo Antonioli, autore dell’iscrizione che accompagnava il busto, venne affidato a Pompilio Pozzetti, “bibliotecario pubblico in Modena”, il compito di ricordare lo studioso scomparso stampandone la biografia. L’iniziativa era appoggiata da Michele, fratello di Carlo Antonioli, con cui Pozzetti volle concordare il testo: arrivato il momento in cui si doveva presentare il testo dell’epigrafe, Pozzetti si rivolse ad Antonioli, affermando di voler “schivare di dire che vi sia l’urna delle ceneri, perché, a dirla, non sono persuaso che siano quelle di lui veramente. Non si potrebb’egli dire: avendo il Pubblico di Correggio decretato di collocare il busto coll’urna cineraria ec. il P. Antonioli fu invitato a far l’iscrizione ec.?” [29].
L’atteggiamento di Pozzetti è assai esplicito sulla scarsa considerazione in cui erano tenute le presunte ossa del Correggio, che tuttavia, per motivi di opportunità e convenienza, non potevano essere messe in discussione. Se ciò valeva per le ossa, avrebbe dovuto valere anche per il busto, che però ormai svolgeva le funzioni di un reliquiario. Tuttavia, allo stato attuale delle ricerche, non si è potuta rinvenire alcuna testimonianza critica o negativa verso l’immagine scelta nel simulacro che si voleva raffigurasse il Correggio: un silenzio che desta perplessità e sospetto [30]. Nel settembre di quello stesso 1801, il busto e il suo contorno furono tolti dall’ingresso della sede municipale e posti nella nuova sala del Consiglio, dove un’epigrafe latina, composta per l’occasione, ricordava i nomi dei componenti, vecchi e nuovi, della municipalità repubblicana responsabili dell’operazione, orgogliosi e consapevoli del proprio ruolo di rappresentanti democraticamente eletti, liberi dall’obbligo di tributare lode e gratitudine a principi e tiranni [31].
Nella fondamentale e ponderosa biografia (spesso anche aggrovigliata, confusa e dispersiva), dedicata da Luigi Pungileoni al Correggio [32], non poteva mancare un rapido cenno alla “supposta testa”, conservata a Modena, e al “busto d’Allegri in mezzo a due urne cinerarie sotto delle quali un mausoleo, che ne racchiude le ossa battezzate per sue” [33]. Desta stupore che Pungileoni, in un testo dedicato a Francesco IV, duca della restaurazione austro-estense, abbia potuto esprimere apertamente il proprio dissenso sulla vicenda delle ossa, cosa che Pozzetti e Antonioli, in epoca repubblicana, non avevano osato fare.
Intorno a quegli stessi anni, anche il medico e storiografo Ernesto Setti, ricordando i fatti senza commentarli, evidenziava, con una sfumatura di assenso, “le premure che si diede il Pubblico di Correggio, allorquando nel 1786 fece innalzare un busto rappresentante Antonio Allegri” [34].
Molto tempo dopo, nel 1867, in una lettera inviata al sindaco di Correggio, Domenico Pungileoni lamentava “che le ossa del divino Allegri trovansi esposte ed aperte ad ognuno”, inoltre richiedeva la concessione di un “frammento di quelle venerate ossa”, da collocare onorevolmente nel proprio casino di campagna [35]. L’interesse e la cura per il piccolo monumento erano andati evidentemente scemando, tuttavia, nel 1873, esso viene ricordato e descritto ancora nella sua collocazione [36].
Dopo la morte di re Vittorio Emanuele II, il consiglio comunale di Correggio propose di collocare in municipio una lapide commemorativa del “primo re d’Italia” da murare presso l’albo pretorio o nella “sala maggiore del Comune” [37]. Si optò quindi per la sala consigliare “in mezzo alla parete settentrionale della medesima traslocando in altra parte della sala, o altrove l’iscrizione ed il busto di Antonio Allegri” [38]. Il consiglio comunale decise poi di aggiungere alla lapide un busto in marmo affidato allo scultore Paolo Aleotti: un’altra immagine era destinata a sostituire quella del Correggio; pertanto “diveniva maturo il tempo di levare il sopra descritto monumento ad Antonio Allegri”. L’urgenza della rimozione dell’umile manufatto, sotto la spinta dell’emozione patriottico-celebrativa, veniva motivata anche dal fatto che “la effigie del detto nostro sommo Pittore addottata in tale monumento era assai discordante non tanto dalla incisione Asioli, che porterebbe la imagine per lunga tradizione stimata in paese conforme all’originale, ma discorda ancora dalle altre accettate come riproduzione del volto di detto pittore presso i Parmigiani. Lo stesso dicasi rispetto al costume, che era assai difforme da quello, che storicamente si attribuisce al tempo ed all’arte professata da Antonio Allegri” [39]. Si tratta di considerazioni storico-iconografiche, in parte sensate e corrette, ma pur sempre viziate dall’impossibilità di individuare le reali sembianze del Correggio; problema che poi si tentò di risolvere con l’ennesimo ritratto di fantasia.
Di conseguenza, il 31 ottobre 1879, i rappresentanti del Comune procedevano alla rimozione del monumento per il recupero delle ossa, mentre il busto veniva trasferito dal Palazzo Comunale all’Archivio di Memorie Patrie [40]: in quel luogo venne accantonato, come risulta anche dall’inventario dei beni comunali, compilato nel 1899 [41]. Calava così sul ripudiato busto un oblio destinato a durare a lungo. All’inizio degli anni Trenta l’opera, che era stata ignorata da Enrico Bertolini, pioniere della creazione della locale pinacoteca-museo, veniva invece ricordata nella ricerca di Riccardo Finzi sulla tomba di Antonio Allegri [42].
Lo stesso Finzi, negli anni Cinquanta, nel saggio dedicato alle sembianze del Correggio, pubblicava la foto del busto con un commento volto a stigmatizzarne lo scarso valore: nell’immagine la terracotta appare come ricoperta da una patina scura e fuligginosa (Fig. 3) [43].



Dopo l’apertura del Museo Civico di Correggio nel 1995, al busto non venne dato alcun risalto, perché pesava ancora il discredito che lo accompagnava; esso infatti non compare neppure nell’elenco delle opere non esposte [44]; era infatti stato confinato in un magazzino del Palazzo dei Principi, appollaiato, in precario equilibrio, su un cassone verticale in legno verniciato, che fungeva da basamento. Se poteva bastare un piccolo urto per farlo cadere a terra, tanto più poté la forte scossa di terremoto del 15 ottobre 1996: il busto rovinò sul pavimento e andò in frantumi. Chi scrive ricorda di averne visto i pezzi sparsi sul pavimento, alcuni dei quali erano stati pure calpestati, forse nei momenti concitati delle verifiche statiche e dei sopralluoghi di agibilità. Si sparse in seguito la voce che quei cocci, ritenuti non più recuperabili né assemblabili, fossero stati gettati in discarica.
In seguito all’improvvisa scomparsa del prof. Ugo Bizzarri (2017), fu rinvenuta, fra gli oggetti di sua proprietà, una cassetta che conteneva cospicue porzioni e frammenti della smembrata terracotta (Fig. 4) [45]. Grazie all’interessamento dell’associazione “Amici del Correggio e del Museo”, con la solerte cura del presidente Oscar Riccò, i frammenti recuperati venivano affidati alle sapienti mani della restauratrice Roberta Notari. Un attento e documentato lavoro di ricomposizione e integrazione ha permesso di poter ancora ammirare, nelle sale del Museo di Correggio, sua sede naturale, un’opera, certo non eccelsa, ma ricca di storia e di significati.
L’autore del busto: una proposta
La già citata deliberazione consigliare del 23 luglio 1787 ha permesso di accertare la manifattura modenese del busto fittile e il suo prezzo. Tra ciò che resta del massacrato archivio della Comunità di Correggio non era stato finora possibile rinvenire documenti o indizi, quali fatture o ricevute di pagamento, utili per identificare l’autore, quindi il problema era rimasto insoluto.
Tuttavia, la lettera di Domenico Pungileoni al sindaco di Correggio, più sopra riportata, contiene una probabile soluzione: in essa infatti si parla delle ossa del Correggio inserite “nel monumento in plastica del Pantanelli” [46]. Quanto asserito da Pungileoni può essere considerato attendibile, perché questo nobile ed erudito amatore delle arti, nipote di padre Luigi, biografo dell’Allegri, aveva raccolto e donato al comune un carteggio relativo alla vicenda delle presunte ossa allegriane. Per di più, Cesare Pungileoni, padre di Domenico, aveva svolto diversi ruoli istituzionali nella Comunità di Correggio [47].
Sebastiano Pantanelli (Pesaro, 1731-Modena, 1792) lavorò e visse molto tempo a Modena, fino alla morte. Divenne “maestro di plastica” nella Scuola di Belle Arti, fondata nel 1786. Tra le sue opere in terracotta vanno annoverati i busti di quattro medici rinomati (Torti, Ramazzini, Berengario e Falloppia) per il Teatro Anatomico di Modena, ancor oggi sul posto. Tra la sua produzione in marmo va ricordato il busto di Annibale degli Abbati, scolpito per Pesaro, che fu prima esposto a Modena nel 1792. Fu pure impegnato nel restauro delle statue romane antiche possedute dal duca d’Este. Giuseppe Campori, da cui è tratta la maggior parte di queste notizie, giudica sbrigativamente gran parte della produzione del Pantanelli: “Condusse non pochi busti e bassorilievi in terracotta de’ quali non giova serbar memoria” [48].
Nella Scuola di Belle Arti, sotto la direzione di Pantanelli, professore di scultura, era stata allestita “un’aula di plastica con cortiletto, con una fornace con piccolo porticato per l’essicazione delle terrecotte” [49]. Si potrebbe pertanto ipotizzare che il presunto busto del Correggio possa aver fatto parte di una produzione, finalizzata alla pratica didattica, realizzata nella scuola di scultura diretta da Pantanelli.

La leggenda del busto donato da padre Resta
I precedenti tentativi di onorare la memoria di Antonio Allegri con una testimonianza, concreta e monumentale, degna di tanto nome, risalgono al 1612, allorché un gruppo di cittadini, alcuni dei quali assai influenti, organizzarono una colletta per racimolare circa cento scudi “per far la memoria a Antonio da Correggio eccellentissimo Pittore dove è sepolto” [50]. Tutto rimase a livello di buone intenzioni, come testimoniato, verso la metà dello stesso secolo, dalla lapide posta da Girolamo Conti nel convento di San Francesco, nel luogo (forse allora ancora identificabile) ritenuto sepoltura del Correggio [51]. Tra il 1682 e il 1687 fu pure progettato un maestoso monumento, commissionato a Martino Baini, destinato però a rimanere anch’esso lettera morta [52].
Padre Sebastiano Resta, come ricorda Tiraboschi, “trasportato com’era d’amore e d’ammirazione”, cercò anch’egli di convincere i correggesi ad onorare la memoria dell’Allegri con un degno monumento (anche attraverso operazioni non molto trasparenti), finché “disgustato forse al vedere che i correggeschi non si risolvevano a fare ciò che a lui non era possibile, cambiò pensiero” [53].
L’iniziativa di Resta, purtroppo abortita, venne lodata da Pungileoni: “Merita pure non parca lode il P. Resta, ed io non manco di tributargliela per avergli fatto scolpire un busto e per aver ideato d’erigergli un monumento, progetto che egli avrebbe effettuato, se non gli fossero venuti meno gli sperati sussidi” [54]. Benché siano abbastanza chiare, le parole di Pungileoni furono forse male interpretate, specie per quella frase, “per avergli fatto scolpire un busto”, che indusse a scambiare il perduto busto, commissionato dal Resta, con quello in terracotta esposto nella sala del Consiglio comunale di Correggio. L’equivoco nacque dal verbale consigliare del 3 marzo 1880, relativo all’interramento delle ossa, credute del Correggio, nel basamento dell’erigendo monumento al pittore, opera di Vincenzo Vela. In esso si legge che il Municipio, al principio del secolo, aveva fatto trasportare nella sala maggiore del Palazzo comunale “quel busto in terracotta, che l’onorevole Padre Scolopio Resta aveva fatto collocare nell’atrio dello stesso fabbricato ad onore del grande pittore Antonio Allegri” [55]. L’incoerenza e l’evidente anacronismo di tale affermazione furono probabilmente figli di quel pressapochismo frettoloso che spesso accompagna le celebrazioni e le ricorrenze.
La suddetta delibera, assieme alla stragrande maggioranza degli atti relativi al nuovo monumento al Correggio, venne ripresa in un opuscolo celebrativo di Giovan Battista Fantuzzi, che diede il via alla divulgazione e cristallizzazione di quel fraintendimento [56]. Infatti, tutti gli autori che si sono successivamente occupati del busto, hanno ripetuto automaticamente l’errore, fino a oggi [57].
Quale volto dare al Correggio
Nonostante la palese arbitrarietà, anche rispetto alla tradizione iconografica, delle presunte fattezze di Antonio Allegri riprodotte nel busto, anche questa opzione si potrebbe annoverare nel nuovo filone “riabilitativo” della personalità del Correggio, in contrasto con quanto, fino ad allora, era stato tramandato dalla letteratura artistica. Il viso florido e pienotto, lo sguardo lieto e fiducioso, la postura eretta, il ciuffo e i baffetti spavaldi, l’abito semplice e pratico (che nel suo insieme, forse un po’ caricato, farebbe pensare piuttosto a un uomo del Seicento), testimoniano, nonostante i limiti evidenti, l’abbandono degli stilemi precedenti che, sulla scia della tradizione vasariana, vedevano nel Correggio quasi la personificazione della malinconia.
Soprattutto dopo la pubblicazione delle opere di Anton Raphael Mengs, cominciarono ad essere proposte altre tipologie ritrattistiche, perché probabilmente il nuovo modo di presentare l’Allegri risentiva anche delle nuove interpretazioni: “in quanto all’arte dice il Vasari, che il Correggio era nell’arte molto malinconico. Io non credo darsi uomo, che possa persuadersi esser malinconiche le invenzioni di un pittore, che a giudizio di tutto il mondo fece le composizioni più allegre, per le quali ha meritato dal pubblico il titolo di Pittore delle Grazie” [58].
All’epoca in cui il busto fu modellato, coesistevano diverse soluzioni che proponevano versioni assai difformi della fisionomia del Correggio; tutte comunque prive di sicuro fondamento e frutto spesso di suggestioni culturali [59]. Infatti, la tradizione, ormai consolidata, aveva privilegiato una figura che si adattava allo stereotipo dell’uomo malinconico. Una delle prime raffigurazioni del volto dell’Allegri compare solo a metà Seicento in una riedizione bolognese delle vite vasariane (infatti Vasari, non conoscendola, non l’aveva pubblicata) (fig. 5) [60]: è l’immagine di un uomo stempiato, con barba e baffi, tratti marcati e un po’ rozzi, che diverrà una delle fisionomie prevalenti fin oltre il Settecento. A quel volto maschile, barbuto e di pelo rado, dal prominente naso aquilino, si accompagnò anche quello di un vecchio curvo, quasi decrepito, specie grazie alla diffusione di un’altra versione, incisa da G. F. Bugatti e dedicata a padre Resta (fig. 6) [61]: una figura che, in alcune delle numerose varianti successive, assunse caratteri quasi grotteschi.
Suggestionata dalla raffigurazione di un uomo di profilo, ritenuta tradizionalmente ritratto del Correggio e dipinta da Lattanzio Gambara nel duomo di Parma, è l’immagine incisa (e pure ingentilita) da Francois Ravenet nel 1781 (fig. 7) [62]. In quello stesso anno uscivano a stampa le “Notizie storiche sincere” del Ratti, che recano in antiporta il ritratto di Antonio Allegri, presentato come ricavato da un dipinto ritenuto di Dosso Dossi [63]: è un volto dagli occhi vivi, robusto e con barba e capelli neri, con un berretto in capo (fig. 8). A questa nuova immagine toccò la sorte di essere accolta (anche se con qualche riserva) e più volte riproposta, con numerose varianti: essa si impose progressivamente come modello di riferimento nella raffigurazione di Antonio Allegri.
Evidentemente, nessuno di questi modelli riuscì a soddisfare l’autore della terracotta, che probabilmente optò per una soluzione più “creativa”. Suonano pertanto opportune le parole con cui Girolamo Tiraboschi liquidava la comparsa di una ennesima stampa riproducente un presunto autoritratto del Correggio; “io dubito molto, che esso sia stato finto a capriccio per ottenere un facile smercio sotto l’ombra di sì gran nome” [64].
Per gli amministratori correggesi si trattò forse di accettare un ulteriore ripiego (come era già stato fatto per le ossa), favorito dall’occasione e mosso dall’urgenza di concludere l’operazione, accontentando le autorità ducali e contenendo le spese.

La proposta di un’altra identità
La scheda del Catalogo Generale dei Beni Culturali del 1984 segnala che il busto, pretesa immagine del Correggio, raffigurerebbe in realtà tale Antonio Correggio, curato di villa San Martino [65]. La fonte dell’informazione è sempre Finzi (che afferma di averla tratta da Fantuzzi) e che poi riproporrà in altre pubblicazioni [66]. Siamo, anche in questo caso, di fronte all’errata lettura di una fonte “classica”.
Luigi Pungileoni, nel primo volume delle sue Memorie istoriche, aveva esposto alcune osservazioni su un “ritratto creduto del Correggio e per tale inciso dal sig. Luigi Valperga”, ricavato da un dipinto conservato a Torino nella “Vigna della regina”, del quale Michele Antonioli “n’ebbe in dono una copia”. Pungileoni ricordava poi che l’Antonioli gli aveva spesso ripetuto “essere quello il ritratto del sacerdote Antonio Correggio rettore di San Martino di quella città” [67].
Appare quindi evidente come le parole di Antonioli, registrate da Pungileoni, che si limitavano a esprimere una supposizione (peraltro circoscritta al quadro da cui era derivata l’incisione di Valperga) (fig. 9) siano state travisate e, inspiegabilmente, riferite al busto.
Valter Pratissoli


Abbreviazioni
A.M.P. -Archivio Memorie Patrie (presso la Biblioteca Comunale di Correggio).
A.S.C.C. -Archivio Storico Comunale di Correggio.
1 Per una rapida rassegna delle istituzioni e della vita civile correggese alla fine del Settecento cfr. Odoardo Rombaldi, Correggio, città e principato, Modena, Banca Popolare, 1979, pp. 215-239; Valter Pratissoli, Dalla dominazione estense alla fine dell’antico regime: istituzioni, cultura e società, in Correggio identità e storia di una città, Parma, Astrea, 1991, pp.104-114. Per le scuole e la cultura cfr. i saggi contenuti in: Istruzione educazione e collegio in Correggio dal XVII al XX secolo (a cura di Alberto Ghidini), Correggio, Convitto Nazionale “R. Corso”, 1984 e Una comunità educante nel cuore di Correggio: il collegio Convitto “R. Corso” dagli Scolopi ad oggi (a cura di Alberto Ghidini) Correggio, Convitto Nazionale Correggio, 2007.
2 Vittorio Sala, Vincenzo Vandelli, “E poscia si attese alacramente all’educazione dei giovani…”: Giuseppe Maria Soli e l’istituzione dell’Accademia, in La virtù delle arti. Adeodato Malatesta e l’Accademia Atestina, Vignola, Vaccari, 1998, pp. 22-23.
3 Antonio Peretti, La Reale accademia Atestina di Belle Arti, Modena, Eredi Soliani, 1859, p. 3
4 Sala, Vandelli, E poscia si attese... cit., p. 23.
5 Riccardo Finzi, La tomba di Antonio Allegri in Correggio. Cenni storico-topografici, Reggio Emilia, Anonima Poligrafica Emiliana, 1930. Il pregevole saggio di Finzi, volto a individuare l’ubicazione della tomba del Correggio, raccoglie i principali documenti di cui ci siamo avvalsi in questa sede. Per comodità, nella citazione dei documenti originali, salvo casi specifici, sono sempre state utilizzate le trascrizioni di Finzi, tratte dall’opera citata.
6 Per la venerazione delle ossa di Raffaello nel primo Ottocento, cfr. Antoine Chrysostôme Quatremère de Quincy, Istoria della vita e delle opere di Raffaello Sanzio, Milano, Sonzogno 1829, pp. 450-451.
7 Finzi, La tomba…, cit., p. 61: lettera di Giovanni Battista Munarini a Vincenzo Fabrizi, Modena, 21 giugno 1786.
8 Ibid., p. 62: lettera di Vincenzo Fabrizi a Giovanni Battista Munarini, Carpi, 22 giugno 1786.
9 Ibid., p. 63: lettera di Giovanni Battista Munarini a Vincenzo Fabrizi, Modena, 23 giugno 1786.
10 Ibid., p. 13: “Antonio Vicini […] avvocato, fu cancelliere dell’Opera pia di Correggio, priore di città e vice-gerente del governo, insegnante di diritto nel civico ginnasio di Correggio. Morì in patria nel 1793”.
11 Ibid., p. 64: lettera di Antonio Vicini a Vincenzo Fabrizi, Correggio, 23 giugno 1786.
12 Michele Antonioli (Correggio, 1736-1814) storiografo, erudito e grande trascrittore di documenti, tenne corrispondenza, tra i tanti, con Girolamo Tiraboschi. Per tutta la vita raccolse notizie su Antonio Allegri in vista della pubblicazione di una biografia che non riuscì mai a portare a termine. Cfr. Alberto Ghidini, La memoria cittadina tra cronaca e storia, in La ricerca storica locale a Correggio. Bilanci e prospettive, Correggio, Società di Studi Storici, 2004, pp. 23-24 e Gabriele FABBRICI, Appunti su Michele Antonioli e il Correggio, ibidem, pp. 120-131.
13 Finzi, La tomba …, cit., p. 64
14 Ibid., p. 65: lettera di Giovanni Battista Munarini a Vincenzo Fabrizi, Modena 25 giugno 1786, alla lettera segue una minuta contenente l’informazione sul Gregori.
15 A.S.C.C. n. 78. Consigli 1778 al 1789, cc. 172 v.-174v.: Consiglio del 9 agosto 1786. Al Consiglio erano presenti, oltre al governatore e al luogotenente Francesco Poli, Domenico Salvioli, priore, Tommaso Cattania, provvisore, Cesare Pungileoni, Vincenzo Antonio Vicini, Massimiliano Bergami, Giovanni Capretti, anziano, Pietro Berni, Pietro Saccozzi, Ignazio Cacciavellani, notaio, Sebastiano Setti, notaio.
16 Ibid. Il testo dell’atto è interamente pubblicato in Appendice. Doc. 1
17 Finzi, La tomba …, cit., pp. 66-69. Verbale del cancelliere Luigi Setti, Correggio 21 agosto 1786. La lapide citata è quella posta da Girolamo Conti. Sul contenuto del verbale così si espresse Quirino Bigi: “[…] Dal risultato dei medesimi atti non si hanno che argomenti di credulità cavati per ordine sovrano dalla bocca di quattro frati che trovavansi in convento 252 anni dopo il seppellimento del cadavere di Antonio, e 145 anni dopo il trasferto di quel cadavere dalla sua tomba in altra località, da essi sconosciuta” (cfr. Quirino Bigi, Della vita e delle opere certe ed incerte di Antonio Allegri detto il Correggio, Modena, G.T. Vincenzi e nipoti, 1880, p. 32).
18 Finzi, La tomba …, cit., pp. 70-71: verbale del cancelliere Luigi Setti, Correggio, 2 settembre 1786. Alla riesumazione erano presenti il governatore Fabrizi, Antonio Vicini e Filippo Cattania.
19 Ibid., p. 72: minuta di lettera di Antonio Vicini a Vincenzo Fabrizi, Correggio, 7 settembre 1786.
20 A.M.P. n. 114, fascicolo “Documenti vari su Antonio Allegri”. Nella stessa minuta il progetto del monumento viene definito “una così autentica dimostrazione di stima e venerazione, a chi ha resa, e renderà sempre celebre questa città”.
21 Finzi, La tomba…, cit., p. 73: lettera di Giovanni Battista Munarini a Vincenzo Fabrizi, Modena 11 settembre 1786: “[…] mi comanda l’A.S. di dire a V.S. illustrissima essere della sovrana sua mente, che la testa di detto pittore venga qui trasportata a prima occasione diretta al segretario dell’Università degli Studi, affinchè sotto la direzione del sig. professore di pittura Giuseppe Soli venga decentemente collocata nella Scuola delle Belle Arti per rendere in tal modo il dovuto onore ad un sì rinomato uomo, e nel tempo stesso eccitare la gioventù a seguirne le orme”.
22 Ibid., p. 74: Lettera di Vincenzo Fabrizi alla Comunità di Correggio, Correggio, 20 settembre 1786.
23 A.M.P. n. 115, fasc. “Cranio del Correggio”: attestato del cancelliere Luigi Setti, Correggio, 6 novembre 1786. Il cranio era già a Modena alla fine di novembre; cfr. A.M.P. n. 113, fasc. “Cranio del Correggio”. Lettera di Giovanni Battista Munarini a Vincenzo Fabrizi, Modena, 23 novembre 1786: in essa Munarini informa Fabrizi che la diligenza con cui “ha accompagnata qui la Testa del celebre Antonio Allegri detto il Correggio, ha incontrato il pieno gradimento, et approvazione di S.A. Serenissima”.
24 Ibid., fasc. “Documenti su Antonio Allegri”: dichiarazione del cancelliere Luigi Setti, Correggio, 14 dicembre 1786. All’attestato, pubblicato parzialmente da Finzi (La tomba…, cit., p. 75), segue una nota del Setti “expeditum fuit caput suprascriptum Mutinae cum attestatione de qua supra die 17 Novembris 1786. Sequitur tenor disticorum factorum supra caput Allegri: Si tela Allegri divino picta colore / quaeritur: excessit, si satis, ecce caput. / Aliud / Pictura ornavit Raphael, Antonius auxit / Ille caput Romae, sed Mutinae alter habet”. Per accompagnare la “supposta testa del Correggio” venne poi scelto un distico diverso, cfr. Pungileoni, Memorie istoriche…, III, p. 38.
25 Per l’allestimento della nuova sede della Comunità cfr. Valter Pratissoli, Artisti per il pubblico: la creazione della nuova residenza municipale di Correggio negli anni Ottanta del Settecento, in “Correggio produce”, 2002, pp. 117-125, che anticipa già alcuni dei contenuti presentati in questa sede.
26 A.S.C.C. n. 78. Consigli 1778 al 1789, cc. 184r.-185v.: Consiglio del 23 luglio 1787. Erano presenti il luogotenente Poli, il priore Domenico Salvioli, il provvisore Cesare Pungileoni, Vincenzo Antonio Vicini e altri.
27 Il testo dell’epigrafe è qui riportato in Appendice. Doc. 2. Su Carlo Antonioli cfr. Armando Petrucci, Antonioli, Carlo, in Dizionario biografico degli Italiani, 3, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1966, pp. 583-584. Alfonso Gianotti compose un distico, in bilico tra orgoglio e rassegnazione, che venne posto alla base del busto: Corrigii caput est Mutinae; pictura per orbem: / Quid nobis superest? Nomen, et ossa, satis (Il cranio del Correggio è a Modena, i suoi dipinti sono sparsi per il mondo. A noi che cosa rimane? Il nome e le ossa: ci bastano). Su Alfonso Gianotti (1728-1800) cfr. Santa Maria della Consolazione a San Martino di Correggio. Un oratorio e quattro famiglie (a cura di Nazzaro Benati, Giovanni Fontanesi, Valter Pratissoli), Correggio, Prime forme, 2017, p.42
Diversi anni dopo, Ernesto Setti, citando il distico di Gianotti, lo giudicava “componimento che ci accerta la dolorosa situazione, in cui si trova la patria per esser priva affatto delle opere del sommo pittore” (Cfr. Ernesto Setti, [Biografie di illustri correggesi], I, c. 19v. [ma c. 10v.] L’opera di Setti è conservata nella Biblioteca Comunale di Correggio, collocazione MS 27).
28 A.M.P. n. 115, fasc. “Cranio del Correggio”: verbale di Luigi Setti, 11 ottobre 1788.
29 A.M.P. n. 127 (Carteggio letterario; n. 1 “Carteggio col P. Pompilio Pozzetti). Lettera di Pompilio Pozzetti a Michele Antonioli, Modena 3 agosto 1801. L’idea piacque ad Antonioli che rispose: “Lodo moltissimo il di lei contegno sul punto del monumento del Correggio”. (Cfr. Alessandro Checcucci, Commentario della vita e delle opere di Pompilio Pozzetti, Firenze, Tipografia Calasanziana, 1858, p. 80: lettera di Michele Antonioli a P. Pozzetti, Correggio, 19 agosto 1801).
30 Tanto più perché, nel dipinto al centro del soffitto della sala e raffigurante la “Fama di Antonio Allegri”, (realizzato, presumibilmente tra 1786 e ’87, da Pietro Leonardi detto il Pesarese) un putto sorregge un medaglione col profilo del Correggio, forse tratto da una medaglia di Zanobio Weber del 1779. (Cfr. Pratissoli, Artisti per il pubblico…, cit., pp. 123-124.)
31 A.M.P. n. 113 fasc. 4. Testo latino seguito dalla traduzione in italiano: “Traduzione dell’Iscrizione Latina/ Quest’Immagine del Celebre/ Pittore Antonio Allegri fù levata/ dall’ingresso di questa Casa/ per Decreto dei Municipali/ Giuseppe Ludovico Guzzoni Presidente/ Giuseppe Bernieri – Angelo Sinigaglia/ Pietro Bellelli – Crispino Gambari/ Luigi Piovani/ E Trasportata in questa Sala per/ Decreto de nuovi Municipali/ Giuseppe Bernieri Presidente/ Antonio Rossi/ Filippo Cattania/ Giureconsulto Pier Antonio Cacciavellani/ Gaspare Rivolti/ Nell’Anno Decimo della Repubblica/ nel giorno 15 del mese Vendemmiatore. Michel Angelo Corghi Giureconsulto/ e Segretario pose questo monumento/ Francesco Borziani/ faceva memoria/ nell’Anno 1801”. Seguono i nomi del “fabbro muratore” e dei testimoni.
32 Per un giudizio sull’opera di Pungileoni cfr. Silvia De Vito Battaglia, Correggio Bibliografia, Roma, Palombi, 1934, pp. 49-50.
33 Luigi Pungileoni, Memorie istoriche di Antonio Allegri, III, Parma, Tipografia Ducale 1821, pp. 38-40.
34 Setti, [Biografie…], I, cit., c. 19r. [ma 10r.].
35 A.M.P. n. 115 bis. Lettera di Domenico Pungileoni al Sindaco di Correggio, Correggio, 4 marzo 1867. Su Domenico Pungileoni (1788-1877) cfr. Santa Maria della Consolazione…, cit., p. 58. Giovanni Battista Fantuzzi, nell’opuscolo celebrativo dedicato al monumento allegriano, riporta l’atto del Consiglio Comunale di Correggio del 2 marzo 1880 in cui si ricorda che le “preziose reliquie” furono “estratte dal cavo di quel Busto nell’anno 1868 nella contingenza che una rappresentanza di questo Municipio dovevasi portare nella città di Parma per assistere alla inaugurazione di un monumento marmoreo al Pittore delle Grazie”; cfr. Giovanni Battista Fantuzzi, Del monumento al Correggio opera di Vincenzo Vela, Correggio, G. Cesare e Nemesio Palazzi, 1881, p. 30. Il monumento, opera dello scultore Agostino Ferrarini, fu inaugurato nel 1870 dopo alterne vicende.
36 Cfr. Quirino Bigi, Notizie di Antonio Allegri di Antonio Bartolotti suo maestro e di altri pittori ed artisti correggesi, Modena, Carlo Vincenzi, 1873, p. 38: “Nella sala del Palazzo Municipale evvi il busto d’Allegri in mezzo a due urne cinerarie e al di sotto un mausoleo entro cui si suppone esservi alcune ossa di lui. Sopra il busto leggesi una epigrafe latina del Padre Carlo Antonioli e sotto un distico dell’abate Alfonso Gianotti”. Oggi entrambe le scritte risultano perdute. Se Fantuzzi ricorda che l’epigrafe di Antonioli era “manupinta” (Fantuzzi, Del monumento…, cit., p. 29), è ragionevole pensare che anche il distico di Gianotti fosse stato dipinto a mano.
37 A.S.C.C. Deliberazioni del Consiglio Comunale 1877-1879. Seduta del 4 e 16 febbraio 1878, p. 145.
38 A.S.C.C. Deliberazioni della Giunta comunale dal 1877 al 1878. Seduta del 6 marzo 1878, p. 96.
39 A.M.P. n. 114. Trascrizione della delibera consigliare n. 2578, del 31 ottobre 1879, trasmessa da Emidio Salati, sindaco di Correggio, a don Giulio Cesare Marchi, custode dell’Archivio di Memorie Patrie, in data 13 novembre 1879.
40 Ibid., delibera n. 2578 del 31-10-’79 e deliberazione della Giunta municipale del 10 novembre 1879. Sempre nella delibera n. 2578 si ricorda che, durante le operazioni di rimozione del busto furono rinvenuti “due colli di bottiglie di vetro suggellati in cera lacca rossa con suggello comunale, nei quali esistevano scritte su carta comune le seguenti memorie”. Si trattava dell’epigrafe scritta nel 1801 da Francesco Borziani, cfr. Nota 31.
41 A.S.C.C. Inventario generale dei beni mobili ed immobili del Comune di Correggio nel 1899, p. 90, n. 709: “1 busto in scagliola rappresentante Antonio Allegri”.
42 Enrico Bertolini, Le opere artistiche del Principato di Correggio, Reggio Emilia, Tipografia nazionale Nuova Italia, 1930; Finzi, La tomba …, cit., p. 19.
43 Riccardo Finzi, Le sembianze di Antonio Allegri, Fabbrico, Giovanni Landini e figli, 1954. Nella fig. 35 del testo compare il “falso busto”, mentre a p. 19 Finzi commenta con sarcasmo la terracotta, che credeva donata dal Resta, “gabellandone l’immagine per quella dell’Allegri”, quindi prosegue: “Nella terracotta il rubicondo viso con la bocca ornata da ben curati baffetti, sembra beatamente sorridere per la beffa sia della sua stessa immagine venerata per tanto tempo nella sala consigliare della sua città, sia perché in un incavo posteriore del busto venivano poste, pure con venerazione, alcune ossa che non appartennero certo al pittore, bensì ad una vecchia di ignoto nome”.
44 Cfr., Il Museo Civico di Correggio (a cura di Alberto Ghidini), Milano, Electa 1995.
45 Va riconosciuto a Ugo Bizzarri il merito del recupero e della custodia del busto in attesa del restauro.
46 La lettera di Pungileoni è sempre quella del 4 marzo 1867, citata alla nota 35.
47 Su Cesare Pungileoni, “provvisore” della Comunità nel 1786, cfr. Santa Maria della Consolazione…, cit. p. 57.
48 Giuseppe Campori, Gli artisti italiani e stranieri negli Stati Estensi, Modena, Tipografia della R.D. Camera, 1855, p. 343.
49 Sala, Vandelli, E poscia si attese…, cit. pp. 26-27. Gli altri insegnanti della scuola erano: Giuseppe Bianchi (architettura), Giuseppe Maria Soli (architettura civile, disegno e pittura) e Giovanni Mussatti (nudo e disegno di figura). I pittori Soli e Mussatti furono coinvolti nelle ricerche del teschio dell’Allegri.
50 Il documento originale, conservato in A.M.P. n. 114, è citato e trascritto in PUNGILEONI, Memorie istoriche…, III, cit., pp. 41-43.
51 Girolamo Tiraboschi, Biblioteca Modenese. Tomo VI. Che contiene il supplemento a’ tomi precedenti e le notizie degli artisti. Parte seconda, Modena, Società Tipografica, 1786, pp. 300.
52 Id., Ibid., pp. 299 e trascritto in Pungileoni, Memorie istoriche…, III, cit., pp. 46-49.
53 Tiraboschi, Biblioteca Modenese, VI/2, cit., p. 299. L’intenzione di Resta è confermata da una lettera che questi inviò il 26 ottobre 1701 a Giuseppe Magnavacca, in cui afferma di avere “fatto far il ritratto in marmo che è riuscito bellissimo per mandarlo al sepolcro in S. Francesco di Correggio”; nonostante ciò il suo corrispondente correggese, don Giuseppe Bigellini, rettore di Fazzano, non aveva voluto sostenere le spese dell’epitaffio, né tanto meno quelle del ritratto. Cfr. A.M.P. n. 114. “Lettere di Sebastiano Resta a Giuseppe Magnavacca”, fasc. 2 (1700-1707), lettera n. 14. Girolamo Tiraboschi commentò così tutti quegli inutili tentativi: “Rimase dunque e rimane tuttora privo il Correggio del tante volte decretatogli monumento”. Cfr. Tiraboschi, Biblioteca Modenese, VI/2, p. 300.
54 Pungileoni, Memorie istoriche di Antonio Allegri detto il Correggio, I, Parma, Stamperia Ducale, 1817, p. 252.
55 A.M.P. n. 114. Copia della delibera n. 545 del 3 marzo 1880, spedita dal sindaco Salati al custode dell’Archivio di Memorie Patrie G.C. Marchi, stessa data.
56 Fantuzzi, Del monumento…, cit., p. 30. Fantuzzi riporta il verbale del 3 marzo 1880.
57 Finzi, Le sembianze…, cit., p. 17 e fig. 35. Questa affermazione ricompare anche nelle successive pubblicazioni di Finzi. Anche nel Catalogo Generale dei Beni Culturali, presente in Rete, la scheda relativa al busto, compilata nel 1984 (e “aggiornata” nel 2006, quando l’opera era già andata distrutta) ripropone ancora il nome di Resta quale donatore:
https//catalogo.beniculturali.it/detail/HistoricOrArtisticProperty/0800233194).
58 Anton Raphael Mengs, Opere pubblicate da Giuseppe Niccola D’Azara, II, Parma, Stamperia Reale, 1780, pp. 191-192. Il passo citato è tratto dalle “Annotazioni sopra le memorie antecedenti”, in cui D’Azara commenta le “Riflessioni sopra l’eccellenza di Correggio” del Mengs. Lo stesso D’Azara esamina poi il ritratto dell’Allegri diffuso dall’incisione di Bugatti, con dedica a padre Resta. “Chiunque veda questo ritratto, che rappresenta un vecchio calvo, e decrepito, vede bene che non può essere d’un uomo, che morì di quarant’anni” (Ibid., p. 196).
59 Per una panoramica sui numerosi tentativi di individuare la fisionomia di Antonio Allegri, restano fondamentali: Corrado Ricci, Il ritratto del Correggio, in “Rassegna d’arte antica e moderna”, marzo-aprile, 1917, pp. 55-67 e soprattutto Finzi, Le sembianze…, cit. Utilissima anche la raccolta di immagini, a cura di Adelmo Carboni, I volti del Correggio, Correggio, stampato in proprio, 2010 (seguita da I volti del Correggio. Addenda, 2015).
60 Giorgio Vasari, Delle vite de’ più eccellenti pittori, scultori et architetti. (Parte terza primo volume), Bologna, Eredi di Evangelista Dozza, 1663, p. 22.
61 Finzi, Le sembianze… cit., p. 26 e 28, fig. 29.
62 Finzi, Le sembianze…, cit., pp. 18, 20, 28, 37 e fig. 37. La stampa è datata 1781 e non 1783, come riportato da Finzi. In un “Prospetto”, stampato per pubblicizzare la vendita delle incisioni di Ravenet, tra i soggetti elencati compare “Il Ritratto del Correggio, dipinto da Lattanzio Gambara, e scoperto non ha molto nella Cattedrale di Parma”. Il foglio è conservato in A.M.P. 113.
63 Carlo Giuseppe Ratti, Notizie storiche sincere intorno la vita e le opere del celebre pittore Antonio Allegri da Correggio, Finale Ligure, Giacomo de’ Rossi, 1781, pp. 73-74. Cfr. Finzi, Le sembianze…, cit., pp. 13, 14, 16, 18 e fig. 2.
64 Cfr. Tiraboschi, Biblioteca Modenese, VI/2, cit., p. 301.
65 Cfr. nota 57. Don Antonio, appartenente alla famiglia dei conti di Correggio, fu rettore di San Martino fino al 1615; cfr. Pietro Zaccarelli, Saggio di notizie storiche della città di Correggio, e sue ville, de’ Luoghi pij e della villa di S. Giorgio in Rio (a cura di Nazzaro Benati, Giovanni Fontanesi, Valter Pratissoli), Correggio, Prime forme, 2022, p. 99. L’autore, amico e collaboratore di Michele Antonioli, compilò l’opera tra Sette e Ottocento.
66 Cfr. Finzi, La tomba…, cit., p. 19; ID., Correggio Guida storico-artistico-biografica, Reggio Emilia, Libertas, 1949, p. 34; Id., Le sembianze…, cit. p. 19, 37 e fig. 37; Id., Correggio nella storia e nei suoi figli, Reggio Emilia, AGE, 1968, p. 175.
67 Pungileoni, Memorie istoriche…, I, cit., pp. 255-256.
APPENDICE
Doc. 1
Archivio Storico Comunale di Correggio n. 78: Consigli 1778 al 1789.
Consiglio della Comunità di Correggio, 9 agosto 1786 (inizia a c. 172v)
- 174r– 174v
“Dall’annunzio recato dai Signori Rappresentanti d’esser stato posto a suo luogo l’iscrizione in marmo che spiega la rispettosissima riconoscenza di questo Pubblico verso il clementissimo Sovrano felicemente regnante per il dono di questa pubblica Residenza anno preso motivo i prefati Signori di riflettere che niente meglio potesse convenire al carattere di veri Cittadini premurosi del decoro della propria patria quanto il far memoria dopo i sentimenti della più ossequiosa gratitudine al Principe dei sentimenti e pregi che anno con sorpresa può dirsi dell’Europa tutta distinto l’illustre Pittore Antonio Allegri che da questa patria desume il nome del Correggio, ed a cui si concede senza contrasto l’onor sommo del primato frai Professori di Pittura attese le sue opere quasi divine. Quindi dovendosi ritenere preziosi ancor gli avvanzi del suo corpo che fu seppellito in un chiostro di questi PP. di S. Francesco, e di cui v’anno tuttavia le opportune memorie penserebbono che si potrebbono essi dissotterrare, raccogliere e riporre in picciol urna da depositare in muro all’ingresso della Fabbrica entro la lapide suddetta erigendo in mezzo il busto con annunziare con espressiva iscrizione in marmo ed emblemmi illustri da collocare contro la lapide suddetta quanto si onori la memoria di sì famoso concittadino cui per ogni ragione è dovuta questa autentica testimonianza di stima ed afetto, secondandosi anche in tal modo o compiendosi i voti e desideri pubblici che si manifestarono nell’anno 1685 con pubblico partito che forse per estranee combinazioni non poté sortire il suo effetto e che ora non si potrebbe più differire senza mancare ai principali doveri patriotici, e pare espressamente voluto dalla fausta ricordanza de’ doni dell’Estense Munificenza concessa a render decente comodo ed utile l’albergo destinato all’amministrazione del Pubblico patrimonio e della giustizia supplicando in fine l’ossequiatissimo tribunale col mezzo del prelodato co. Governatore che si è compiaciuto di comendare moltissimo questo pensiero a voler concedere l’opportuna approvazione di questo divisamento e della spesa occorrevole, nella quale procureranno l’economia compatibile con la validità e decenza del lavoro.
E con ciò…
Luigi Setti cancelliere coadiutore”.
Doc. 2
Pompilio Pozzetti, Elogio di Carlo Antonioli delle Scuole Pie, Modena, Eredi di Bartolomeo Soliani, 1801, pp. 74-75: “Ed allorquando ella” [la patria di Antonioli, Correggio, n.d.r.] ”pur si risolse a rendere un omaggio di riconoscenza al più celebre de’ figli suoi, che da lei si denomina, decretando che il busto del divino Correggio fosse nella sala della pubblica residenza innalzato e sotto esso racchiuse alcune ossa di Lui recentemente disseppellite, invitò il Padre Carlo a perpetuare nel romano antico stil delle lapidi la memoria che or vi si legge”;
p. 91: “Antonio. Allegri / Pictori. Celeberrimo / Atque. Ob. Singularem. Praesertim. In. Arte. Venustatem / Sibi. Patriae. Quae. Corrigio / Cuius. Nomini. Appellari. Solet / Immortalem. Gloriam. Adepto / Commune. Corrigiensium / Quod. In. Votis. Diu. Habuerat / Amplioribus. Nunc. Aedibus. His / E. Coemeterio D. Francisci / Civis. Clarissimi. Ossibus. Huc Translatis / Monumentum. Hoc. Aere. Publico / Ponendum. Decrevit. Curavitque / Anno. R. S. MDCCLXXXVI” (“Ad Antonio Allegri – pittore celeberrimo – e specialmente per singolare eccellenza nell’arte – a sé e alla patria Correggio – dal cui nome suole essere appellato – acquista gloria immortale – il Comune Correggese – ciò che in voti lungamente aveva avuto – ora in queste più ampliate sedi – dal cimitero di S. Francesco – alle ossa del famosissimo cittadino qui traslate – questo monumento a spese pubbliche – volle e curò fosse posto – L’anno della recuperata salute – 1786”, traduzione di Giovanni Battista Fantuzzi, Del monumento al Correggio opera di Vincenzo Vela. Strenna storica correggese, Correggio, G. Cesare e Nemesio Palazzi, 1881, p. 29)