Risonanze

Una Sigismunda “del Correggio”, e una di William Hogarth

      Il 26 aprile 1758 – era un mercoledì – si aprì a Londra la vendita all’asta della collezione di sir Luke Schaub, presso “mr. Langford, at his house in the Great Piazza, Covent Garden”. Schaub era nato a Basilea nel 1690; pur essendo cittadino svizzero, aveva svolto un’intensa attività diplomatica per la Corona inglese. I viaggi intrapresi e l’ampiezza delle relazioni gli avevano consentito di mettere assieme una notevole collezione di quadri, quella che venne appunto dispersa due mesi dopo la sua morte [1].

     L’asta proseguì anche il giovedì e il venerdì seguenti; tra i tanti quadri in vendita, alcuni erano attribuiti al Correggio: prima il duca di Leeds acquistò per sei sterline una copia del Giove e Iò. L’ultimo giorno, invece, Lord Harrington comprò a una cifra molto maggiore – 220 sterline e 10 scellini – un quadro raffigurante la Madonna col Bambino e san Giovannino (“The Virgin, our Saviour and st. John”).

Hyacinthe Rigaud, Luke Schaub (1721). Basilea, Kunstmuseum, 542.

     Ma il colpo di scena era avvenuto già il primo giorno, quando era stato venduto uno dei pezzi forti della collezione, un acquisto che inciderà – in modo sorprendente e inatteso – sull’opera di uno dei più importanti pittori del secolo, e non solo in Inghilterra: William Hogarth (1697-1764).

     Alla notevole somma di 404 sterline e 5 scellini era stato infatti ceduto un altro quadro attribuito ad Antonio Allegri, quello che nel catalogo viene indicato come “Sigismunda weeping over the heart of Tancred (sic), a most excellent picture” (Sigismunda piange sul cuore di Tancredi, un dipinto quanto mai eccellente). Lo vediamo riprodotto in un’incisione di James McArdell, quando figurava ancora nella collezione dei Schaub.

A catalogue of the Grand and Capital Collection of Italian, Flemish, and Dutch Paintings of the Hon. Sir Luke Schaub lately deceased (…), [London 1758], p. 4.
James McArdell, Ghismonda. Boccaccio Giornata quarta Novella I. Done from the Original in the collection of Lady Schaub, incisione. La scritta a sinistra è Coregio pinxit (Correggio dipinse). L’incisione indica il quadro ancora presso Lady [Marguerite] Schaub, ed è perciò anteriore al 1758, quando il dipinto venne venduto in asta a Londra.
Louis de Surugue de Surgis, Ghismunda (1719). © Musée des Beaux-Arts de Dole, photo Pierre Guenat. In basso a sin. Ant. Corrège p., a destra Surugue ex. 1719. Più in basso: Tancrede, ce tiran qu’à Salerne on déteste / de sa fille autrefois a fait périr l’amant, /ce barbare en tira le cœur encor fumant, / et fit à la princesse un présent si funeste. / L’infortunée en pleure gémit du cruel sort / par qui de son amant la lumière est ravie, / et pour vivre avec lui d’une éternelle vie, / elle songe aux moyens de se donner la mort.

    Possiamo supporre che Schaub avesse acquistato il dipinto al tempo dei suoi incarichi ufficiali in Francia, tra 1721 e 1722; il quadro, infatti, nel 1719 era stato riprodotto in controparte da Louis de Surugue de Surgis (c. 1686-1762), e già con un’attribuzione al Correggio [2].

    Nell’asta del 1758 il compratore della Sigismunda fu Sir Thomas Sebright, poi il quadro passò al duca di Newcastle fino ad arrivare al Birmingham Museum and Art Gallery dove si trova tuttora.

    Il soggetto del dipinto, come dichiara l’incisione di McArdell, è tratto da una novella del Decameron di Boccaccio (IV giornata, I novella): è il momento in cui Ghismunda piange sulla coppa che contiene il cuore di Guiscardo, il giovane che il padre Tancredi ha fatto uccidere. La nobile ragazza si era infatti innamorata del paggio, fatto che il padre, principe di Salerno, non aveva tollerato (nel titolo con cui viene descritto il dipinto nell’asta del 1758 c’è dunque uno scambio tra il padre di Ghismunda e il suo innamorato).

     La notevole somma a cui venne ceduto il quadro dovette sorprendere il pubblico degli addetti ai lavori.  Diversi anni più tardi, John Ireland riporta i giudizi di un critico anonimo (forse il pittore e trattatista Joshua Kirby) che esprimeva forti riserve sulla qualità delle opere raccolte da Schaub: “una collezione fortunata per gli eredi, ma sfortunata per la reputazione di Sir Luke come esperto di pittura” [3]. Lo stesso critico, a proposito del “no. 59, Sigismunda weeping over the heart of Tancred, called a Corregio”, osserva che “questo quadro è senza dubbio una copia; non c’è nulla che riesca a descrivere il carattere di Sigismunda, se non il dolore. Il pittore avrebbe potuto prendere a modello la sua cuoca, visto che nel suo aspetto non c’è nulla di elegante e delicato. I “virtuosi” [gli esperti] fecero salire il prezzo fino alle 400 sterline, ma Sir Thomas Sebright, come desiderava il proprietario, lo comprò per 404 sterline e 5 scellini. Presto scoprì il suo errore, visto che non vale più di 10 ghinee” [4].

     Tra coloro che furono sorpresi dall’asta del 1758 c’era anche William Hogarth. È il pittore stesso a raccontarlo, quando spiega la genesi di un proprio quadro a dir poco discusso, la Sigismunda [5], un’opera che – non è certo un caso – ha lo stesso soggetto del dipinto venduto sotto il nome del Correggio [6]:

     “Un signore (ora nobile) [Sir Richard, poi Lord, Grosvenor], vedendo questo quadro [Piquet, or Virtue in Danger eseguito per Lord Charlemont (7)], mi spinse con molta forza a dipingerne un altro per lui, alle stesse condizioni. Accettai con una certa esitazione, e siccome ero stato spesso riempito di lodi per la mia capacità di rendere le espressioni, pensai che la figura di Sigismunda che piange sul cuore del suo amante, mi avrebbe permesso di darne ulteriore prova. Preso da questa idea, mi concentrai sul soggetto quanto mai difficile. L’argomento della mia opera era drammatico, e il mio obiettivo era di strappare lacrime allo spettatore, un effetto di cui ero stato spesso testimone assistendo a una tragedia teatrale; e perciò mi convinsi che valesse la pena di tentare, e vedere se un pittore non riuscisse a raggiungere lo stesso effetto, cioè toccare il cuore tramite l’occhio, come fa l’attore attraverso l’orecchio. Fino adesso sono stato gratificato: più di una volta ho visto la lacrima della compassione scendere lungo la guancia di una donna mentre stava contemplando il quadro. Dato che poco tempo prima erano state offerte 400 sterline per un quadro raffigurante Sigismunda – un’opera eseguita da un maestro francese, ma erroneamente attribuita al Correggio – 400 sterline fu il prezzo che fissai per il mio quadro”.

William Hogarth, Sigismunda Mourning over the Heart of Guiscardo, 1759. Londra, Tate Gallery.

        La Sigismunda di Hogarth prima subì un imprevisto rifiuto da parte del committente Richard Grosvenor, poi suscitò discussioni e critiche a non finire, che si trascinarono ben oltre la morte dell’artista. Una presa di posizione che lasciò il segno (e che qui interessa soprattutto per il suo giudizio sul quadro “di Correggio”) fu quella di Horace Walpole, il rinomato collezionista e conoscitore che solo pochi anni prima aveva pubblicato The Castle of Otranto. A Gothic Story (1764) [8]:

“[Hogarth], mosso dal disprezzo verso gli ignoranti virtuosi [esperti] dell’epoca, e dall’indignazione per gli sfacciati trucchetti dei venditori di quadri – che vedeva raccomandare e vendere di continuo vili copie a collezionisti di croste – e non avendo mai studiato (e per la verità nemmeno visto) pochi buoni quadri di grandi maestri italiani, si convinse che le lodi tributate a quelle opere gloriose non erano altro che effetti di un pregiudizio. Andò avanti con questi discorsi, finché non arrivò a crederci, poi avendo sentito ripetere spesso che il passare del tempo dà morbidezza ai colori e li migliora, come è vero, egli non solo negò questa opinione, ma sostenne che invecchiando i dipinti diventano scuri e peggiori, senza distinguere il grado in cui questa affermazione può essere vera o falsa. Andò ancora più avanti: decise di gareggiare con i pittori antichi e sfortunatamente scelse come oggetto di questa sua competizione uno dei più bei quadri d’Inghilterra, cioè la celebre Sigismunda di Sir Luke Schaub – ora di proprietà del duca di Newcastle – che si sostiene essere opera del Correggio, ma probabilmente è del Furino, questione che ora non importa. È impossibile guardare questo quadro, o leggere l’inimitabile racconto di Dryden, e non sentire che lo stesso spirito animava entrambi. Dopo molti tentativi, Hogarth alla fine realizzò la sua Sigismunda, ma non più simile a Sigismunda, di quanto io assomigli a Ercole. Il quadro, per non parlare della miseria del colorito, rappresentava una sdolcinata sgualdrina appena uscita dalla sua attività che, con gli occhi rossi di rabbia e di whisky, strappava gli ornamenti che il suo protettore le aveva dato”.

Joshua Reynolds, Horace Walpole, c. 1757. Londra, National Portrait Gallery.

     Tra i vari motivi che rendono interessante questo passo, c’è la decisa attribuzione da parte di Walpole della Ghismunda già Schaub, e oggi a Birmingham, a Francesco Furini (1603-1646), attribuzione condivisa anche dagli studiosi moderni. Come si era arrivati, invece, a riferire il dipinto al Correggio? È molto probabile che la posa della Ghismonda di Furini, come anche la nudità del seno, richiamasse quella della Maddalena di Correggio, arrivata pochi anni prima da Modena a Dresda.

A destra un particolare della Maddalena di Correggio, già a Dresda, volutamente invertito.

      Del resto, come abbiamo visto, lo stesso Hogarth negava la paternità correggesca del quadro di Sir Schaub (che però considerava opera di un “maestro francese”). Che conoscenza del Correggio aveva Hogarth per smentire con sicurezza il suo nome? Di certo conosceva il Giove e Iò, che inserisce nell’episodio della Toilette all’interno della serie del Marriage à la Mode; e forse alludeva proprio a quest’ultimo quadro (pur fraintendendone il soggetto), in uno dei passi sul pittore emiliano nel suo trattato sulla Bellezza [9].

     L’attribuzione al Correggio del quadro di Furini ha una singolare durata: si conferma infatti anche nel 1786 quando Domenico Cunego ne riproduce una copia. Più tardi ancora, un’incisione di Jean Eugène Alberti (1777-1850), ne riproduce un’altra copia (ma Ghismunda ora è stata trasformata in una Maddalena) [10].

 

Claudio Franzoni

Domenico Cunego, Ghismonda (1786). In basso a sinistra: Coregio pinxit; a destra: D. Cunego fecit Berlin 1786. Sotto: Ghismonda / Boccaccio Giornata quarta, novella I. / Dessiné d’après l’original par Cunningham / (...). Jean Eugène Alberti (1777-1850), S.te Madeleine. / D’après le tableau du Corrège / tiré du Cabinet de M.r Alberti.
  1. Anthony Twist, Widening circles in finance, philanthropy and the arts. A study of the life of John Julius Angerstein 1735-1823 (Phd Thesis, University of Amsterdam, 2002), pp. 12-13.
  2. Charles Le Blanc, Manuel de l’amateur d’estampes: contenant le dictionnaire des graveurs de toutes les nations, Paris, 1854-1888, III, cat. no. 46, p. 614. Attorno al 1743 il quadro, già in Inghilterra, venne copiato a pastello da Mary Granville Delany: Augusta Hall Llanover, The autobiography and correspondence of Mary Granville, Mrs. Delany: with interesting reminiscences of King George the third and Queen Charlotte, II, London 1861, p. 260.
  3. John Ireland, Hogarth Illustrated from His Own Manuscripts, III, London 18123, pp. 206-207: “a lucky collection for his heir, but unlucky for Sir Luke’s reputation as a judge of painting”.
  4. Ibidem: “This picture is an undoubted copy; nothing in the character of Sigismunda, but sorrow to recommend it. The painter might take it from his cook-maid, there being nothing elegant or delicate in her appearance. The virtuosi ran it up to 400 pounds, but Sir Thomas Sebright, at the desire of the proprietor, bought it in for 404 pounds 5 shillings. He soon discovered his mistake, for in reality it was worth no more than 10 guineas”. Ireland continua dicendo che non condivide il panegirico di Walpole sul quadro, ma pur sempre “It is many years since I saw the picture in the Duke of Newcastle’s collection, and I then thought it sublimely conceived, and finely coloured. Mac Ardell’s print gives a faithful representation of the character, and the annexed head is a correct copy”. Alcuni retroscena sulla vendita si leggono nella corrispondenza di Mary Granville Delany: Llanover, The autobiography … cit., III, pp. 495-497.
  5. La complessa vicenda dell’esecuzione (e della ricezione) del dipinto viene puntualmente analizzata da Marcia Pointon, William Hogarth’s Sigismunda in focus, London 2000.
  6. Anecdotes of William Hogarth, Written by Himself with Essays on his Life and Genius and Criticism on his Writings, London, 1833, p. 54: “A gentleman (now a nobleman), seeing this picture, pressed me with much vehemence to paint another for him, upon the same terms. To this I reluctantly assented, and as I had been frequently flattered for my power of giving expression, I thought the figure of Sigismunda weeping over the heart of her lover, would enable me to display it. Impressed with this idea, I fixed upon this very difficult subject. My object was dramatic, and my aim to draw tears from the spectator, an effect I have often witnessed at a tragedy; and it therefore struck me that it was worth trying, if a painter could not produce the same effect, and touch the heart through the eye, as the player does through the ear. Thus far I have been gratified; I have more than once seen the tear of sympathy trickle down the cheek of a female, while she has been contemplating the picture. As four hundred pounds had a short time before been bid for a picture of Sigismunda, painted by a French master, but falsely ascribed to Corregio, four hundred pounds was the price at which I rated this”. È impropria l’affermazione di John Timbs, Anecdote Biography (…), London 1860, p. 61, che parla di “irritazione di Hogarth di fronte alla venerazione per questo grande maestro italiano”.
  7. Il dipinto (Albright-Knox Art Gallery, Buffalo, New York) è noto anche col titolo The Lady’s Last Stake.
  8. Horace Walpole, Anecdotes of Painting in England; With Some Account of the principal Artists; And incidental Notes on other Arts; Collected by the late Mr. George Vertue; And now digested and published from his original MSS., Strawberry-Hill, Thomas Farmer and Thomas Kirgate, 1771, IV, pp. 77-78: “From a contempt of the ignorant virtuosi of the age, and from indignation at the impudent tricks of picture-dealers, whom he saw continually recommending and vending vile copies to bubble-collectors, and from having never studied, indeed having seen, few good pictures of the great Italian masters, he persuaded himself that the praises bestowed on those glorious works were nothing but the effects of prejudice. He talked this language till he believed it; and having heard it often asserted, as is true, that time gives a mellowness to colours and improves them, he not only denied the proposition, but maintained that pictures only grew black and worse by age, not distinguishing between the degrees in which the proposition might be true or false. He went farther: he determined to rival the ancients — and unfortunately chose one of the finest pictures in England as the object of his competition. This was the celebrated Sigismonda of Sir Luke Schaub, now in the possession of the Duke of Newcastle, said to be painted by Correggio, probably by Furino, but no matter by whom. It is impossible to see the picture, or read Dryden’s inimitable tale, and not feel that the same soul animated both. After many essays, Hogarth at last produced his Sigismonda, — but no more like Sigismonda, than I to Hercules. Not to mention the wretchedness of the colouring, it was the representation of a maudlin strumpet just turned out of keeping, and, with eyes red with rage and usquebaugh, tearing off the ornaments her keeper had given her”.
  9. William Hogarth The Analysis of Beauty, London, printed by John Reeves for the Author, 1753, p. IX: “We see this principle [the serpentine line] no where better understood than in some pictures of Corregio, particularly his Juno and Ixion: yet the proportions of his figures are sometimes such as might be corrected by a common sign painter”. Il pittore è citato anche in un altro passo sul tema del colore (ivi, pp. 120-121): “(…) out of the many thousands who have laboured to attain it [colouring], not above ten or twelve painters have happily succeeded therein, Corregio (who lived in a country-village, and had nothing but the life to study after) is said almost to have stood alone for this particular excellence”.
  10. Non si tratta della versione oggi a Vienna (Kunsthistorisches Museum, Gemäldegalerie, 213 https://www.khm.at/objektdb/detail/764/) che è testimoniata in galleria già nel 1720.