Vasari e Correggio: l’edizione Giuntina (1568)

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Vasari e Correggio: l’edizione Torrentiniana (1550)

Vasari 1568, Vita di Antonio da Correggio

S. De Vito Battaglia, Correggio. Bibliografia, Roma 1934

Bibliografia 1934-2021

Giorgio Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori scultori, e architettori, Firenze, Giunti, 1568, II, pp. 16-19

Io non voglio uscire del medesimo paese [l’Italia del Nord], dove la gran madre Natura, per non essere tenuta parziale, dette al mondo di rarissimi uomini della sorte che avea già molti e molti anni adornata la Toscana; infra e’ quali fu di eccellente e bellissimo ingegno dotato Antonio da Correggio, pittore singularissimo, il quale attese alla maniera moderna tanto perfettamente, che in pochi anni, dotato dalla natura et esercitato dall’arte, divenne raro e maraviglioso artefice.

Fu molto d’animo timido, e con incommodità di se stesso in continove [continue] fatiche esercitò l’arte per la famiglia che lo aggravava; et ancora che e’ [egli] fusse tirato da una bontà naturale, si affliggeva nientedimanco più del dovere nel portare i pesi di quelle passioni che ordinariamente opprimono gli [p. 17] huomini.

Era nell’arte molto maninconico e suggetto alle fatiche di quella, e grandissimo ritrovatore di qualsivoglia difficultà delle cose, come ne fanno fede nel duomo di Parma una moltitudine grandissima di figure lavorate in fresco e ben finite, che sono locate nella tribuna grande [nella cupola] di detta chiesa, nelle quali scórta [dipinge di scorcio] le vedute al di sotto in su con stupendissima maraviglia.

Et egli fu il primo che in Lombardia cominciasse cose della maniera moderna: per che si giudica che, se l’ingegno di Antonio fosse uscito di Lombardia e stato a Roma, averebbe fatto miracoli e dato delle fatiche a molti che nel suo tempo furono tenuti grandi; con ciò sia che, essendo tali le cose sue senza aver egli visto de le cose antiche o de le buone moderne, necessariamente ne sèguita che, se le avesse vedute, arebbe infinitamente migliorato l’opere sue, e crescendo di bene in meglio sarebbe venuto al sommo de’ gradi. Tengasi pur per certo che nessuno meglio di lui toccò colori, né con maggior vaghezza o con più rilievo alcun artefice dipinse meglio di lui, tanta era la morbidezza delle carni ch’egli faceva, e la grazia con che e’ [egli] finiva i suoi lavori.

Egli fece ancora in detto luogo [in realtà in San Giovanni Evangelista] due quadri grandi lavorati a olio, nei quali, fra gli altri, in uno si vede un Cristo morto che fu lodatissimo. Et in S. Giovanni [in realtà il duomo] in quella città fece una tribuna in fresco, nella quale figurò una Nostra Donna [Maria Vergine] che ascende in cielo fra moltitudine di angeli, et altri santi intorno, la quale pare impossibile ch’egli potesse non esprimere con la mano, ma imaginare con la fantasia, per i belli andari [movimenti] de’ panni e delle arie che e’ diede a quelle figure, delle quali ne sono nel nostro libro alcune dissegnate di lapis rosso di sua mano, con certi fregi di putti bellissimi, et altri fregi fatti in quella opera per ornamento con diverse fantasia di sacrifizii alla antica.

E nel vero, se Antonio non avesse condotte l’opere sue a quella perfezzione che le si veggono, i disegni suoi, se bene hanno in loro una buona maniera e vaghezza e pratica di maestro, non gli arebbano arecato [avrebbero dato] fra gli artefici quel nome che hanno l’eccellentissime opere sue. È quest’arte tanto dificile et ha tanti capi, che uno artefice bene spesso non li può tutti fare perfettamente: perché molti sono che hanno disegnato divinamente, e nel colorire hanno avuto qualche imperfezzione; altri hanno colorito maravigliosamente, e non hanno disegnato alla metà: questo nasce tutto dal giudizio e da una pratica che si piglia da giovane, chi nel disegno e chi sopra i colori.

Ma perché tutto s’impara per condurre l’opere perfette nella fine, il quale è il colorire con disegno tutto quel che si fa, per questo il Coreggio merita gran lode, avendo conseguito il fine della perfezione ne l’opere che egli a olio e a fresco colorì; come nella medesima città nella chiesa de’ Frati de’ Zocoli di S. Francesco [in realtà SS. Annunziata], che vi dipinse una Nunziata in fresco tanto bene, che accadendo per aconcime [sistemazione] di quel luogo rovinarla, feciono que’ frati ricignere il muro atorno con legami armati di ferramenti, e tagliandolo a poco a poco la salvorono, et in un altro loco più sicuro fu murata da loro nel medesimo convento. Dipinse ancora sopra una porta di quella città una Nostra Donna che ha il Figliuolo in braccio: ch’è stupenda cosa a vedere il vago colorito in fresco di questa opera, dove ne ha riportato da forestieri viandanti, che non hanno visto altro di suo, lode e onore infinito. In S. Antonio ancora di quella città dipinse una tavola, nella quale è una Nostra Donna e S. Maria Madalena, et apresso vi è un [p. 18] putto che ride, che tiene a guisa di angioletto un libro in mano, il quale par che rida tanto naturalmente che muove a riso chi lo guarda, né lo vede persona di natura malinconica che non si rallegri: èvvi [vi è] ancora un S. Girolamo; ed è colorita di maniera sì maravigliosa e stupenda che i pittori ammirano quella per colorito mirabile e che non si possa quasi dipignere meglio.

Fece similmente quadri et altre pitture per Lombardia a molti signori; e fra l’altre cose sue, due quadri in Mantova al duca Federigo II per mandare a lo imperatore: cosa veramente degna di tanto principe; le quali opere vedendo Giulio Romano, disse non aver mai veduto colorito nessuno ch’aggiugnesse a quel segno. L’uno era una Leda ignuda, e l’altro una Venere [in realtà Danae], sì di morbidezza, colorito e d’ombre di carne lavorate, che non parevano colori ma carni. Era in una un paese mirabile: né mai lombardo fu che meglio facesse queste cose di lui; et oltra di ciò capegli [capelli] sì leggiadri di colore e con finita pulitezza sfilati e condotti, che meglio di quegli non si può vedere. Eranvi alcuni Amori che de le saette facevano prova su una pietra, quelle d’oro e di piombo, lavorati con bello artificio; e quel che più grazia donava alla Venere, era una acqua chiarissima e limpida che correva fra alcuni sassi e bagnava i piedi di quella, e quasi nessuno ne ocupava: onde nello scorgere quella candidezza con quella dilicatezza, faceva agl’occhi compassione nel vedere. Per che certissimamente Antonio meritò ogni grado et ogni onore vivo, e con le voci e con gli scritti ogni gloria dopo la morte.

Dipinse ancora in Modena una tavola d’una Madonna, tenuta da tutti i pittori in pregio e per la miglior pittura di quella città. In Bologna parimente è di sua mano in casa gl’Arcolani [Ercolani], gentiluomini bolognesi, un Cristo che ne l’orto apare a Maria Madalena, cosa molto bella. In Reggio era un quadro bellissimo e raro, che non è molto che passando messer Luciano Palavigino [Pallavicini], il quale molto si diletta delle cose belle di pittura, e vedendolo, non guardò a spese di danari, e come avesse cómpero una gioia lo mandò a Genova nella casa sua.

È in Reggio medesimamente una tavola, drentovi [che presenta] una Natività di Cristo, ove partendosi da quello uno splendore, fa lume a’ pastori e intorno alle figure che lo contemplano; e fra molte considerazioni avute in questo suggetto, vi è una femina che volendo fisamente guardare verso Cristo, e per non potere gli occhi mortali sofferire [sopportare] la luce della Sua divinità, che con i raggi par che percuota quella figura, si mette la mano dinanzi agl’occhi, tanto bene espressa che è una maraviglia. Èvvi un coro di angeli sopra la capanna che cantano, che son tanto ben fatti che par che siano più tosto piovuti dal cielo che fatti dalla mano d’un pittore.

È nella medesima città un quadretto di grandezza di un piede, la più rara e bella cosa che si possa vedere di suo di figure piccole, nel quale è un Cristo ne l’orto: pittura finta di notte, dove l’angelo aparendogli, col lume del suo spendore fa lume a Cristo, che è tanto simile al vero che non si può né immaginare né esprimere meglio. Giuso a piè del monte, in un piano, si veggono tre Apostoli che dormano, sopra ‘ quali fa ombra il monte dove Cristo òra [prega], che dà una forza a quelle figure che non è possibile; è più là, in un paese lontano, finto l’apparire della aurora; e si veggono venire da l’un de’ lati alcuni soldati con Giuda: e nella sua piccolezza questa istoria è tanto bene intesa, che non si può [p. 19] né di pazienza né di studio per tanta opera paragonalla.

Potrebbonsi dire molte cose delle opere di costui, ma perché fra gli uomini eccellenti de l’arte nostra è amirato per cosa divina ogni cosa che si vede di suo, non mi distenderò più. Ho usato ogni diligenzia d’avere il suo ritratto: e perché lui non lo fece e da altri non è stato mai ritratto, perché visse sempre positivamente [in maniera semplice e modesta], non l’ho potuto trovare; e nel vero fu persona che non si stimò né si persuase di sapere far l’arte, conoscendo la difficultà sua, con quella perfezzione che egli arebbe voluto.

Contentavasi del poco e viveva da bonissimo cristiano. Desiderava Antonio, sì come quello ch’era aggravato di famiglia, di continuo risparmiare, et era divenuto perciò tanto misero che più non poteva essere. Per il che si dice che, essendoli stato fatto in Parma un pagamento di sessanta scudi di quattrini, esso volendoli portare a Correggio per alcune occorenzie sue, carico di quelli si mise in camino a piedi; e per lo caldo grande che era allora, scalmanato dal sole, beendo acqua per rinfrescarsi, si pose nel letto con una grandissima febre, né di quivi prima levò il capo che finì la vita, nell’età sua d’anni XL [40] o circa.
Furono le pitture sue circa il MDXII [1512]; e fece alla pittura grandissimo dono ne’ colori da lui maneggiati come vero maestro, e fu cagione che la Lombardia aprisse per lui gl’occhi, dove tanti belli ingegni si son visti nella pittura, seguitandolo in fare opere lodevoli e degne di memoria: perché mostrandoci i suoi capegli [capelli] fatti con tanta facilità nella difficultà del fargli, ha insegnato come e’ si abbino a fare; di che gli debbono eternamente tutti i pittori, ad istanzia de’ quali gli fu fatto questo epigram[m]a da messer Fabio Segni, gentil’huomo fiorentino:

Huius cum regeret mortales spiritus artus
pictoris, Charites suplicuere Iovi:
non alia pingi dextra, Pater alme, rogamus,
hunc praeter, nulli pingere nos liceat.
Annuit his votis summi regnator Olympi
et iuvenem subito sydera ad alta tulit
ut posset melius Charitum simulacra referre
praesens, et nudas cerneret inde deas.

[Quando ancora lo spirito sosteneva il corpo mortale di questo pittore, le Grazie supplicarono Giove: grande Padre, ti preghiamo di non essere dipinte da un’altra mano, e che a nessuno sia permesso di raffigurarci se non a questo artista. Il sommo re dell’Olimpo annuì a queste richieste e subito portò il giovane sulle alte stelle, così che potesse meglio riportare le forme delle Grazie e, dal vivo, potesse vedere le dee nella loro nudità].

Giorgio Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori scultori, e architettori, Firenze, Giunti, 1568, II, pp. 414-415, Vita di Benvenuto Garofalo e Girolamo da Carpi

In quel tempo, essendo stato portato a Bologna in casa de’ signori conti Ercolani un quadro di man d’Antonio da Coreggio, nel quale Cristo in forma d’ortolano appare a Maria Maddalena, lavorato tanto bene e morbidamente quanto più non si può credere, entrò di modo nel cuore a Girolamo quella maniera, che non bastandogli avere ritratto quel quadro, andò a Modana per vedere l’altre opere di mano del Coreggio; là dove arrivato, oltre all’essere restato nel vederle tutto pieno di maraviglia, una fra l’altre lo fece rimanere stupefatto: e questa fu un gran quadro, che è cosa divina, nel quale è una Nostra Donna che ha un putto in collo, il quale sposa santa Caterina, un san Bastiano [Sebastiano] et altre figure, con arie di teste tanto belle che paiono fatte in paradiso, né è possibile vedere i più bei capegli [capelli] né le più belle mani o altro colorito più vago e naturale. Essendo stato dunque da messer Francesco Grilenzoni, dottore e padrone del quadro, il quale fu amicissimo del Coreggio, conceduto a Girolamo poterlo ritrarre, egli il ritrasse con tutte quella diligenza che maggiore si può imaginare.

Dopo fece il simile della tavola di san Piero martire, la quale avea dipinta il Coreggio a una compagnia di secolari, che la tengono, sì come ella merita, in pregio grandissimo, essendo massimamente in quella, oltre all’altre figure, un Cristo fanciullo in grembo alla Madre, che pare che spiri, et un s. Piero martire bellissimo; et un’altra tavoletta di mano del medesimo, fatta alla compagnia di San Bastiano, non men bella di questa. Le quali tutte opere, essendo state ritratte da Girolamo, furono cagione che egli migliorò tanto la sua prima maniera, ch’ella non pareva più dessa né quella di prima.

Da Modana andato Girolamo a Parma, dove avea inteso esser alcune opere del medesimo Coreggio, ritrasse alcuna delle pitture della tribuna [cupola] del duomo, parendogli lavoro straordinario, cioè il bellissimo scorto [scorcio] d’una Madonna che saglie [sale] in cielo circondata da una multitudine d’angeli, gl’apostoli che stanno a vederla salire, e quattro santi protettori di quella città che sono nelle nicchie: san Giovanni Battista che ha un agnello in mano, san Ioseffo [Giuseppe] sposo della Nostra Donna, san Bernardo degl’Uberti fiorentino, cardinale e vescovo di quella città, et un altro vescovo.

Studiò similmente Girolamo in San Giovanni Evangelista le figure della cappella maggiore nella nicchia, di mano del medesimo Coreggio, cioè la Incoronazione di Nostra Donna, san Giovanni Evangelista, il Battista, san Benedetto, san Placido, et una moltitudine d’angeli che a questi sono intorno, e le maravigliose figure che sono nella chiesa di San Sepolcro alla cappella di San Ioseffo [Giuseppe], tavola di pittura divina.

E perché è forza che coloro ai quali piace fare alcuna maniera e la studiano con amore, la imparino almeno in qualche parte, onde aviene ancora che molti divengono più eccell[enti] che i loro maestri non sono stati, Girolamo prese assai della maniera del Coreggio. Onde tornato a Bologna, l’imitò sempre, non studiando altro che quella e la tavola che in quella città dicemo [abbiamo detto] essere di mano di Raffaello da Urbino [la Santa Cecilia]. E tutti questi particolari seppi io dallo stesso Girolamo, che fu molto amio amico, l’anno 1550 in Roma, et il quale meco si dolse (…).

De uno [quadro] dunque, che n’ha il cavalier Boiardo [Baiardi?] in Parma, bello a maraviglia, di mano del Correggio, nel quale la Nostra Donna mette una camiscia indosso a Cristo fanciulletto, ne ritrasse Girolamo uno a quello tanto simile che pare desso veramente

Proemio

Né si può esprimere le leggiadrissime vivacità che fece nelle opere sue Antonio da Correggio, sfilando i suoi capelli con un modo, non di quella maniera fine che facevano gli innanzi a lui, ch’era difficile, tagliente e secca, ma d’una piumosità morbidi, che si scorgevano le fila nella facilità del farli, che parevano d’oro e più belli che i vivi, i quali restano vinti dai suoi coloriti.

Vita di Piero di Cosimo. Pittor fiorentino

Mentre che Giorgione et il Correggio con grande loro loda e gloria onoravano le parti di Lombardia, non mancava la Toscana ancor ella di belli ingegni, fra’ quali non fu de’ minimi Piero (…).

Vita di Taddeo Zucchero. Pittore da Sant’Agnolo in Vado

Intanto Daniello da Parma [Daniele Porri] pittore, il quale già stette molti anni con Antonio da Coreggio et avea avuto pratica con Francesco Mazzuoli parmigiano, avendo preso a fare a Vitto, di là di Sore, nel principio dell’Abruzzo una chiesa a fresco per la capella di Santa Maria, prese in suo aiuto Taddeo conducendolo a Vitto. Nel che fare, se bene Daniello non era il migliore pittore del mondo, aveva nondimeno, per l’età e per avere veduto il modo di fare del Coreggio e del Parmigiano, e con che morbidezza conducevano le loro opere, tanta pratica, che mostrandola a Taddeo et insegnandogli, gli fu di grandissimo giovamento con le parole, non altrimenti che un altro arebbe fatto con l’operare.