Vasari e Correggio: l’edizione Torrentiniana (1550)
Vasari e Correggio: l’edizione Giuntina (1568)
Vasari 1568, Vita di Antonio da Correggio
S. De Vito Battaglia, Correggio. Bibliografia, Roma 1934
Bibliografia 1934-2021
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Giorgio Vasari, Le vite de’ più eccellenti architetti, pittori et scultori italiani, Firenze, Torrentino, 1550, pp. 581-585:
Antonio da Coreggio pittor.
Sforzasi bene spesso la benigna Natura infondere tanta grazia ne’ nostri artefici con tanta divinità nel maneggiare de’ colori, che, se e’ fussero accompagnati da profondissimo disegno, ben farebbono stupire il cielo come egli empiono la terra di maraviglia. Ma sempre si è potuto vedere ne’ nostri pittori che quelli che hanno ben disegnato, hanno avuto qualche imperfezzione nel colorire, e che molti che fanno perfetta una qualche cosa particulare, lasciano poi per la maggior parte le cose loro più imperfette che perfette. Il che per il vero nasce da la difficultà della [p. 582] arte, la quale ha da imitare tanti capi di cose, che uno artefice solo non può farle tutte perfette. Laonde ben si può dire che e’ sia non dico maraviglia, ma miracolo grandissimo, che gli spiriti ingegnosi faccino quello che e’ fanno, et i toscani per avventura in maggior numero certo che gli altri.
Di che proverbiata la madre dello universo da infiniti, a chi non pareva avere il debito loro in questa divisione, fece degna la Lombardia del bellissimo ingegno di Antonio da Correggio, pittore singularissimo, il quale attese alla maniera moderna tanto perfettamente, che in pochi anni, dotato dalla natura e esercitato dall’arte, divenne raro e maraviglioso artefice. Fu molto d’animo timido, e con incommodità di se stesso in continove fatiche esercitò l’arte per la famiglia che lo aggravava; et ancora che e’ fusse tirato da una bontà naturale, si affliggeva nientedimanco più del dovere nel portare i pesi di quelle passioni che ordinariamente opprimono gli uomini.
Era nell’arte molto maninconico e suggetto alle fatiche di quella, e grandissimo ritrovatore di qualsivoglia difficultà delle cose, come ne fanno fede nel duomo di Parma una moltitudine grandissima di figure lavorate in fresco e ben finite, che sono locate nella tribuna [cupola] grande di detta chiesa, nelle quali scórta [dipinge di scorcio] le vedute al di sotto in su con stupendissima maraviglia.
Et egli fu il primo che in Lombardia cominciasse cose della maniera moderna: per che si giudica che, se l’ingegno di Antonio fosse uscito di Lombardia e venuto a Roma, averebbe fatto miracoli e dato delle fatiche a molti che nel suo tempo furono tenuti grandi; con ciò sia che, essendo tali le cose sue senza avere egli visto de le cose antiche o de le buone moderne, necessariamente ne seguita che, se le avesse vedute, arebbe infinitamente migliorato l’opere sue, e crescendo [p. 583] di bene in meglio sarebbe venuto al sommo de’ gradi.
Tengasi pur per certo che nessuno meglio di lui toccò colori, né con maggior vaghezza o con più rilievo alcun artefice dipinse meglio di lui, tanta era la morbidezza delle carni ch’egli faceva e la grazia con che e’ [egli] finiva i suoi lavori. Egli fece ancora in detto luogo [in realtà si tratta di San Giovanni Evangelista] due quadri grandi lavorati a olio, nei quali, fra gli altri, in uno si vede un Cristo morto che fu lodatissimo.
Et in San Giovanni [in realtà si tratta del duomo] in quella città fece una tribuna [cupola] in fresco, nella quale figurò una Nostra Donna [Maria Vergine] che ascende in cielo fra moltitudine di Angeli, et altri Santi intorno, la quale pare impossibile ch’egli potesse non esprimere con la mano, ma imaginare con la fantasia, per i belli andari de’ panni e delle arie che e’ [egli] diede a quelle figure.
In Santo Antonio ancora di quella città dipinse una tavola, nella quale è una Nostra Donna e Santa Caterina con San Girolamo,
colorita di maniera sì maravigliosa e stupenda che i pittori ammirano quella per colorito mirabile e che non si possa quasi dipignere meglio.
Fece similmente quadri et altre pitture per Lombardia a molti signori; e fra l’altre cose sue, due quadri in Mantova al duca Federigo II per mandare a lo imperatore: cosa veramente degna di tanto principe; le quali opere vedendo Giulio Romano, disse non aver mai veduto colorito nessuno ch’aggiugnesse a quel segno. L’uno era una Leda ignuda e l’altro una Venere [in realtà Danae], sì di morbidezza, colorito e d’ombre di carne lavorate, che non parevano colori ma carni. Era in una un paese mirabile: né mai lombardo fu che meglio facesse queste cose di lui; et oltra di ciò capegli sì leggiadri di colore e con finita pulitezza sfilati e condotti, che meglio di quegli non si può vedere. Eranvi alcuni Amori che de le saette facevano prova su una pietra, quelle d’oro e di piombo, lavorati con [p. 584] bello artificio; e quel che più grazia donava alla Venere, era una acqua chiarissima e limpida che correva fra alcuni sassi e bagnava i piedi di quella, e quasi nessuno ne occupava: onde nello scorgere quella candidezza con quella delicatezza, faceva agli occhi compassione nel vedere.
Per che certissimamente Antonio meritò ogni grado et ogni onore vivo, e con le voci e con gli scritti ogni gloria dopo la morte. Desiderava Antonio, sì come quello ch’era aggravato di famiglia, di continuo risparmiare, et era divenuto perciò tanto misero che più non poteva essere. Per il che si dice che essendoli stato fatto in Parma un pagamento di sessanta scudi di quattrini, esso volendoli portare a Correggio per alcune occorrenzie sue, carico di quelli si mise in camino a piedi; e per lo caldo grande che era allora, scalmanato dal sole, beendo acqua per rinfrescarsi, si pose nel letto con una grandissima febre, né di quivi prima levò il capo che finì la vita, nell’età sua d’anni XL [40] o circa.
Lasciò suo discepolo Francesco Mazzola parmigiano [il Parmigianino], il quale lo imitò grandemente. Furono le pitture sue circa il MDXII [1512]; e fece alla pittura grandissimo dono ne’ colori da lui maneggiati come vero maestro, e fu cagione che la Lombardia aprisse per lui gli occhi, dove tanti belli ingegni si son visti nella pittura, seguitandolo in fare opere lodevoli e degne di memoria: perché mostrandoci i suoi capegli fatti con tanta facilità nella difficultà del fargli, ha insegnato come e’ si abbino a fare; di che gli debbono eternamente tutti i pittori, ad instanzia de’ quali gli fu fatto questo epigramma:
ANTONIO A COREGIO
Huius cum regeret mortales spiritus artus
pictoris, Charites suplicuere Iovi: [p. 585]
non alia pingi dextra, Pater alme, rogamus,
hunc praeter, nulli pingere nos liceat.
Annuit his votis summi regnator Olympi
et iuvenem subito sydera ad alta tulit
ut posset melius Charitum simulacra referre
praesens, et nudas cerneret inde deas.
[Quando ancora lo spirito sosteneva il corpo mortale di questo pittore, le Grazie supplicarono Giove: grande Padre, ti preghiamo di non essere dipinte da un’altra mano, e che a nessuno sia permesso di raffigurarci se non a questo artista. Il sommo re dell’Olimpo annuì a queste richieste e subito portò il giovane sulle alte stelle, così che potesse meglio riportare le forme delle Grazie e, dal vivo, potesse vedere le dee nella loro nudità].
Et appresso quest’altro ancora.
Distinctos homini quantum Natura capillos
efficit, Antoni dextra levis docuit.
Effigies illi varias terraeque marisque
nobile ad ornandas ingenium fuerat.
Coregium patria[m] Eridanus mirantur et Alpes,
moestaque pictorum turba dolet tumulo.
[Quanto sia grande la finezza con cui la Natura ha creato i capelli degli uomini, l’ha insegnato la leggera mano destra di Antonio. Egli ebbe un nobile ingegno nel rendere varie le immagini della terra e del mare. Il Po e le Alpi ammirano Correggio sua patria, e triste la folla dei pittori piange sulla sua tomba].